venerdì 11 maggio 2012

Simbologie Materiche

Adriano Maraldi e Decio Zoffoli non si possono catalogare come un pittore e uno scultore ma dei veri operatori della materia. L’ampia e variegata selezione di opere esposte in questa mostra, offre l’opportunità al visitatore di comprendere e di capire che dietro ad ogni espressione artistica c’è prima di tutto una resa manuale e quindi uno studio accurato della tecnica artigianale.
La carriera di Maraldi che spazia da un’approfondita conoscenza della calcografia all’uso di terre impastate con acrilici, lo porta a una continua ricerca di trasparenza, che proietta su un materiale duttile come il metacrilato. Di ferro, rame, terracotta, vetro fuso e cemento si compongono le opere di Zoffoli. Materiali che l’artista riesce a forgiare con estrema sapienza, vista la pregressa formazione acquisita negli anni, nella bottega del padre. L’uso prevalente del cemento misto a tessuto e ferro lo spinge ad analizzare forme inusuali, rendendo i suoi personaggi potenti e allo stesso tempo eleganti nelle forme. Una ricerca quasi psicologica dei contenuti, come si avverte nelle opere in vetro fuso, trasformazione da cui gli deriva il bisogno continuo di riciclo. Riciclo che lo si può comprendere solo con la creazione dei componenti stessi.
Due percorsi apparentemente opposti ma che trovano il loro punto d’unione nella capacità tecnica fondata sull’esperienza pratica. Ed è proprio su questo concetto e base tematica delle opere, che gli artisti affidano la loro inquietudine esistenziale, amareggiati da una società dove le categorie artigianali sono risucchiate nell’oblio più profondo, dove troppo spesso la cultura è la non cultura.
Maraldi osserva come spettatore solitario l’agonia di una classe corrotta e capricciosa rifugiandosi  nella fedeltà di una natura incontaminata. Pesci guizzanti dai colori accesi, impreziositi da terre e venature color oro, sgusciano dall’acqua e si gettano tra le onde del mare, sono carichi di Simbologie materiche una metafora sottile e allo stesso tempo cruda, un grido di dolore fatto di pura contestazione. Per l’artista i pesci confusi e disorientati rappresentano tanti inutili spermatozoi impazziti, spaesati e senza una mèta definita non riescono più a comunicare tra loro, un dialogo interrotto e allo stesso tempo emblematico che sta cessando di esistere nel rapporto contemporaneo tra uomo e donna, espressione che si evince dalla coppia raffigurata nel dipinto intitolato Gli amici dell’artista.
  
Un gruppo di persone fatto di semplici Chiacchiere è la risposta di Decio Zoffoli, una scultura nella quale l’osservatore è fisicamente invitato a interagire con i personaggi, un inno alla comunicazione in cui gli individui sono chiamati a partecipare dentro un colloquio fatto di generazioni. Un mondo composto da suoni, che prosegue sdoppiandosi in una flebile risonanza, come in Eco del mare, un’opera assimilabile alla branchia di un pesce, che il lento fluire della voce si riproduce  nell’ascolto del suo stesso eco.
Il messaggio, che in fondo la società può ancora riscattarsi dal caos odierno, lo si comprende dal corpus di opere eseguite nel 2011, intitolate da Maraldi: Tre amici in comune, Ombrellone in libertà o Pensieri colorati, figure di giganti dall’impostazione cristallizzata, gladiatori della nuova generazione che se pur rigidi e impassibili conservano un certo controllo. Rivolti alla ricerca del colore gli occhi vigili e attenti, non incrociano mai quelli del visitatore perché attendono con speranza il fiorire di una nuova rinascita intellettuale. Un sapere che si illumina di conoscenza e che l’artista indica nella rappresentazione dei libri in plexiglas, la riscoperta di quel gesto piacevole che induce lo sfogliare le pagine di un libro antico e che i moderni touchscreen presto soppianteranno nell’era della rivoluzione digitale.
Di vincoli sociali parlano mani e polsi legati, raffigurati nella scultura in ferro e cemento, Ali della Libertà di Zoffoli, condizionamenti che impediscono all’uomo di liberarsi dai soprusi e dalle ingiustizie continue che richiede lo stare civilmente in una comunità e che prima o poi ogni individuo è chiamato a rispondere delle proprie omissioni. La corruzione, abuso dal quale l’individuo si sente ingannato, è célata nelle spòglie dell’opera intitolata Il giudice. Rappresentata da una lama liscia e tagliente si appoggia contro una figura ieratica, imparziale e umile agli occhi del mondo su cui per primo l’artista si immortala ergendosi a giudice di sé stesso.

Mostra e catalogo a cura di Barbara Rossi

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