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lunedì 20 maggio 2013

Domenico Beccafumi e Agnolo Bronzino due artisti della maniera a confronto




Domenico Beccafumi Discesa di Cristo al Limbo 1530 Pinacoteca Nazionale Siena.

Il Beccafumi appartiene alla pattuglia dei primi manieristi: Pontormo, Rosso e Parmigianino; tutte queste forme di colore sulfureo sono tipiche di uno stile preciso entro un modo alternativo di pittura artefatta. I bianchi trattati a sprazzi nei contorni delle figure non derivano altro che dalle stampe nordiche di Albrecht Dürer. Un saggio importante è quello di Erwin Panofsky "Il significato delle arti visive" nel quale lo storico si diverte ad anteporre questo lavoro del Beccafumi, opera riconosciuta come una delle strutture portanti del primo manierismo, con La discesa nel Limbo del Bronzino. I personaggi del Beccafumi sono estremamente allungati, anche se per certe forme assomigliano e sono debitrici alle figure serpentinate di Michelangelo, Panofsky nota la non volontà dell'artista di scaglionare lo spazio in maniera ragionevole. Il santo che appare da questa sorta di cratere ci porta alla sensazione goticheggiante, le altre figure sono scalate senza nessuna coerenza rispetto a quell'equilibrio ad esempio trovato ed elaborato da Raffaello. Sono artisti di grande levatura pensiamo al Rosso Fiorentino con Mosè che difende le figlie di Jetro Firenze Uffizi (1523) sono posture che ritornano così come il colore che corrode le figure che pare essere così lancinante da sembrare sfaldarle.
              


















         Domenico Beccafumi 1530                                                              Agnolo Bronzino 1552

venerdì 25 novembre 2011

Giorgio Vasari e l'Incoronazione della Vergine alla Badia di Arezzo


Giorgio Vasari
(Arezzo 1511 - Firenze 1574)

Incoronazione della Vergine 1567

Olio su tavola, cm. 500x400 (con la cornice)
Arezzo, chiesa Badia delle Sante Flora e Lucilla

Nel libro delle Ricordanze di Vasari, fol.27v si legge: « Ricordo, come nel resto di questo anno (1567) si finj una tavola di braccia 7 alta: drentovi gli apostoli, che stanno a vedere la Nostra Donna andata in cielo, et Xo (Cristo) lincorona; che fu fatta per Filippo Salviati et oggi data per condursi in Arezzo in pieve alla cappella di messer Nerozo Albergotti. Laquale la pagata scudi dugento in Arezzo per ser Pietro, mio fratello, a Girolamo Camurini (in altre trascrizioni: Girolamo Camaiani) scudi 200 ».
Altre informazioni che riguardano lo stato di preparazione dell'opera, si traggono da alcune lettere inviate da Vasari a Vincenzo Borghini nell'estate del 1566, nelle quali lo mette al corrente su alcuni lavori che ha in studio e precisamente:
Il 31 luglio 1566 riferisce infatti che l'abate della Badia fiorentina ogni giorno gli rammenta le tavole che gli deve consegnare, e che "quella (la tavola) di Filippo è in casa mia (a Firenze) che s'ingessa"; il 18 agosto successivo aggiunge che "Batista", in realtà Giovan Battista Naldini, suo allievo, in quei giorni è al lavoro nel suo studio, ha, "ateso a bozzare la tavola di Filippo Salviati, che è finita".
Si comprende, quindi, che a essere finito è soltanto l'abbozzo dell'opera, ossia la prima vera mano data sulla tavola al fine di iniziare l'opera, tanto è vero che il 3 settembre seguente Vasari scrive nuovamente al Borghini, dicendogli che quando rientrerà a Firenze da Poppiano dove si trova, tra le altre opere in lavorazione nel suo studio (anche per lo stesso Borghini), potrà vedere "la tavola di Filippo bozzata".
La tavola di Filippo Salviati doveva essere posta nel monastero domenicano delle suore di San Vincenzo Ferrer a Prato, in particolare su di una parete interna del coro, struttura caratterizzata da una sala rettangolare coperta con volta lunettata su peducci in arenaria, fatta costruire dal committente tra il 1558 e il 1564 su progetto di Baccio Bandinelli, quest'ultimo artista di riferimento di Vasari.

domenica 30 ottobre 2011

Appunti per la Pala di Giorgio Vasari alla SS.Annunziata

  Oggi alle 17.00 sarò davanti alla Deposizione di Giorgio Vasari, cercando di dare una lettura della tavola quanto più tecnica possibile. Preparandoci al Natale vi omaggio in anticipo di questa mia ricerca... 

Giorgio Vasari
(Arezzo 1511 - Firenze 1574)

Deposizione dalla Croce 1538

Olio su tavola, cm. 327 x 197
Arezzo, chiesa della Santissima Annunziata

Nel libro delle Ricordanze si legge: "Ricordo come a di 3 di Gennaio 1535 la Compagnia del Corpo di Cristo d'Arezzo et per lei da Antonio di Pietro Sinigardi, priore di detta compagnia, et ser Antonio di Mariotto Gialli et maestro Niccolò di Jacopo Soggi et Dionigi di Fabbiano Sassoli, diputati dal capo della compagnia per allogarmi a dipignere una tavola a olio, drentovi la dipositione della croce del Nostro Signore per prezzo di scudi 130 di grossi 7 soldi 1 per uno scudo. Come per pubblico strumento di mano di Ser Francesco di Messer Bernardino Flori meglio si può vedere quell'atione ci[o]è scudi 130....".
 Dal documento in nostro possesso si ricava che la tavola (fig.1) doveva essere posta dalla Compagnia del Corpo di Cristo sull'altare della cappella coincidente con quello principale di San Domenico ad Arezzo; tale Compagnia era solita riunirsi in locali appartenenti al complesso conventuale domenicano, nei pressi del quale, di lì a qualche anno (1541), Vasari comprerà una casa situata nel Borgo San Vito così come quelle contigue del Fondaccio e delle Paniere nel popolo di San Lorentino, edifici che quasi si affacciano sulla piazza antistante la chiesa di S. Domenico.
 La decisione di allogare la tavola al giovane pittore fu presa dai confratelli il 7 novembre del 1535. Il 3 gennaio del '36 si definì il contratto e si stabilì il prezzo della tavola in 130 scudi, accettando l'invenzione che Giorgio proponeva in un disegno, poi sottoposto all'esame dei componenti, "Cu-historia e figuris ne de vulgariter".
 Allo scadere dei due anni concessi per l'esecuzione dell'opera, il 3 gennaio del 1538 i confratelli si riunirono e decisero di dare a Vasari una dilazione a patto che egli a sue spese fornisse anche la cornice, di cui si era rifiutato di farsi carico nell'iniziale clausola di contratto.
 Il rallentamento del lavoro e la successiva proroga del contratto si collega al periodo in cui l'artista ventiquattrenne lavorava al servizio del duca Alessandro e impegnato contestualmente nella realizzazione di parte degli apparati per il solenne ingresso in Firenze dell'imperatore Carlo V d'Asburgo.
 Pressato dall'entità del lavoro, dalla ristrettezza dei tempi e dal boicottaggio degli artefici fiorentini, invidiosi della stretta relazione che aveva con il Duca, Vasari si risolse di chiedere aiuto ad alcuni artisti aretini quali: Raffaellino del Colle, Cristofano Gherardi detto il Doceno e Stefano Veltroni del Monte San Savino suo cugino.
 Dalla stipula inoltre si evince che Vasari non era ancora famoso tanto che viene indicato nel testo solo con il patronimico e la cittadinanza.
 Il dipinto è inoltre citato da Vasari anche in una famosa lettera diretta allo zio Antonio, scritta il 9 o il 10 gennaio 1537, subito dopo l'assassinio del duca Alessandro e lo descrive lungamente in un'altra nel febbraio dello stesso anno indirizzata al medico aretino e amico Baccio Rontini.

 La lettera oltre a porre l'accento sullo spirito malinconico e inquieto per l'accaduto al giovane Vasari:

"Mi sono serrato in una stanza per abbozzare una tavola, che và qui in Arezzo nella chiesa de frati predicatori, che la fanno fare gl'huomini della compagnia del Corpus Domini per metterla sul'altare maggiore. Io da che mi partij da voi, sono per la morte del mio duca in tanta malinconia, che sono stato et sono per girare col cervello; et lo dimostrerrà quest'opera (...)

 E' interessante perchè fa luce sulla fitta corrispondenza che entrambi intrattenevano, soprattutto sugli studi di anatomia che il giovane Vasari conduceva all'epoca, proprio in una lettera si viene a conoscenza che il biografo dichiarava di avere disegnato a Baccio alcune tavole anatomiche oggi perdute. 

 L'opera, è firmata "Georg...Vasarius Areti...Faciebat" sulla fascia che attraversa la schiena della pia donna in basso a destra, e fu trasferita presso la Santissima Annunziata a seguito delle soppressioni, leopoldine tra il 1796 e il 1797. Comunque non oltre il 1838 data in cui è citata all'interno della guida aretina di Oreste Brizzi.

sabato 17 settembre 2011

Aung San Suu Kyi e la legittimità ritrovata

Nel numero di agosto 2011 il National Geographic ha riportato un articolo scritto da Brook Larmer sulla condizione del Myanmar, di cui recentemente ho dedicato l'intervista alla professoressa Cristina Morra, in occasione della pubblicazione del suo libro ad Arezzo. Oltre ad aggiornarvi e a dare un quadro più completo sulla storia di questo popolo, postandovi alcune considerazioni dell'autore, vi ricordo le date passate e presenti della presentazione del libro:

Emozioni visive dalla Birmania di Cristina Morra
Immagini di un viaggio in Myanmar un paese bello e sfortunato

21 luglio             Bagni Paolieri di Quercianella (costa degli etruschi) Livorno
29 settembre     Spazio  MONDOLIBRI   Via G.A. Papio, 10   Salerno
26 novembre     Libreria  INTERNAZIONALE  Via Scarlatti, 46  Napoli

Myanmar, nel paese delle ombre

Il Myanmar è un paese pieno di ombre, un luogo in cui anche la domanda più innocente può apparire carica di intenzioni segrete. Per quasi tutta la metà del secolo scorso, questa nazione di quasi 50 milioni di abitanti, in maggioranza buddhisti, è stata plasmata dal potere - e dalla paranoia - dei suoi leader militari. Il Tatmadaw, l'esercito, è stata l'unica istituzione capace di imporre la sua autorità su un paese che, dopo aver ottenuto l'indipendenza dalla Gran Bretagna, appariva diviso. Ci è riuscito, in parte, costringendo il Myanmar in un terribile isolamento, dal quale solo adesso il paese sta cominciando a emergere.
L'isolamento, aggravato da vent'anni di sanzioni economiche dell'Occidente, ha forse preservato l'immagine nostalgica di un paese congelato nel tempo, con i laghi avvolti nella nebbia, gli antichi templi e la mescolanza di culture tradizionali ancora non contaminate dal mondo moderno. Ma ha anche contribuito ad accelerare il declino di quello che una volta era delimitato "gioiello dell'Asia". Il sistema sanitario e quello scolastico sono stati distrutti, mentre le forze armate - che contano circa 400 mila soldati - prosciugano quasi un quarto del bilancio nazionale.
Come purtroppo è noto, la repressione brutale delle ribellioni etniche e dell'opposizione civile da parte del Tatmadaw  ha fatto diventare l'ex Birmania un paese emarginato, una condizione da cui adesso sembra ansioso di uscire.

mercoledì 22 giugno 2011

Un caffè con la professoressa Cristina Morra

Qualche giorno fa ho avuto il piacere di intervistare la Prof.ssa Cristina Morra, apprezzata geografa aretina, in occasione del suo libro di prossima uscita.
La fluidità discorsiva con cui mi ha esposto il viaggio mi ha fatto optare in sede di trascrizione, ad inserire poche domande, per una lettura amichevole e di facile comprensione.






Emozioni  visive dalla Birmania di Cristina Morra

Immagini di un viaggio in Myanmar un paese bello e sfortunato


Ma come mai questo titolo emozioni visive dalla Birmania?

E’ un libro di foto, ma non è un itinerario fotografico, ne un testo di filosofia, ne di storia dell’arte ne tantomeno un itinerario turistico, la dice lunga il titolo “Emozioni visive…”, perché lo scopo di questo testo è destare nel pubblico delle sensazioni e delle emozioni guardando le immagini scattate durante il viaggio fatto nel novembre 2009 in questo splendido paese, che definisco bello e sfortunato.
Bello perché, al di là tecnicamente di come siano riuscite le foto, si capisce la bellezza della natura, del paesaggio, dell’umanità soprattutto dei bambini e dei contadini della Birmania, ma si comprende anche la bellezza dell’arte, la bellezza dei templi, la bellezza del contesto in generale, però sfortunato.
Sfortunato perché sappiamo tutti che è sotto una terribile dittatura militare che non molla il potere.
Proprio questo argomento verrà ampiamente discusso nel dibattito che si aprirà alla presentazione del libro con il collega e geografo professor Paolo Sisti. Al di là della sua relazione, parleremo dei tentativi che sono stati fatti per riuscire a sbloccare questa situazione, ad esempio alla popolazione birmana erano state promesse delle libere elezioni per questa primavera, ma sembra che la cosa non sia per niente risolta.

lunedì 2 maggio 2011

La Battaglia di San Martino e Solferino di Carlo Ademollo

Quest’anno, in occasione della ricorrenza dei 150 anni dell’Unità d’Italia, l’Ottocento artistico è stato rispolverato un po’ in tutte le Regioni e in alcuni luoghi anche con un certo orgoglio e campanilismo!
Ad Arezzo presso il Museo Statale d’arte Medievale e Moderna, come si vede brevemente nel video, è stata l’occasione come dico sempre “di far parlare i quadri”. La sala presenta una rassegna di opere, molti i ritratti e gli autoritratti di artisti che a metà Ottocento hanno contribuito alla storia culturale della città. Tra i tanti è da ricordare l’autoritratto del padre del Neoclassicismo in pittura: Pietro Benvenuti, oppure il busto in marmo del Conte Vittorio Fossombroni (il famoso economista e uomo politico aretino che progettò e realizzò la bonifica della Valdichiana), eseguito dallo scultore Lorenzo Bartolini.
Una quadreria insomma che a prima vista si apprezza per l’opera “ben fatta”, ma che rappresentando una produzione artistica locale minore, molto spesso per i non addetti ai lavori, se pur con una galoppante sindrome di Stendhal in atto, trova difficile sciogliere quei nodi che il tempo legato alla storia dell’uomo, inesorabilmente getta nel più profondo dell’oblio.
Opere come nel caso dei ritratti che paiono a prima vista fossilizzati in una fisiognomica atemporale, volti giovanili alcuni al massimo della loro carriera, altri che con le loro espressioni sembrano ammiccarci prepotentemente qualcosa di particolare … sicuri che noi sappiamo!
Rispolveriamo dunque il tempo perso magari al chiuso della biblioteca Comunale, cullati dal fatto che l’edificio è un bell’esempio di architettura aretina medievale e rinascimentale, costruito dall' accorpamento dei palazzi, esistenti fin dal 1200, delle nobili famiglie guelfe Albergotti, Lodomeri e Sassoli. Che dire poi del prezioso tempo scandito dai rintocchi della Pieve che, a seconda della nostra ricerca, ci sembrerà un suono duro se ci troviamo calati in un autunno rinascimentale, quando il popolo aretino si armava in Fortezza contro i fiorentini, oppure da un piacevole rintocco quasi da Grand Tour, magari immaginando il pittore Pio Ricci intento a raffigurare il quadro dal titolo “Le opere della Fraternita dei Laici” ,con sullo sfondo la Pieve, opera all’interno della sezione dell’Ottocento.
Ma iniziamo da un quadro e dal suo artista Carlo Ademollo, che ha da poco spento le candeline e che per l’occasione di questa giornata particolare è stato festeggiato anche dai discendenti della famiglia Ademollo.

 L'IPOCRISIA DEL SISTEMA. "UNA TRAGICOMMEDIA" Ancora una volta ho il piacere di prendere un caffè con la prof.ssa Morra e in q...