lunedì 8 dicembre 2025

Allegoria dell’Immacolata Concezione. Giovanni di Antonio Lappoli 1545

 

Scheda  - estratto di articolo.

Autore: Barbara Rossi

Giovanni Antonio Lappoli

 

 Tempera su tavola, cm 233x157

 Montepulciano, Museo Civico, lascito F. Crociani inv. 71/87

 

Firmata da Giovanni Antonio Lappoli e datata 1545 la pala è pervenuta al museo in seguito alla donazione che il collezionista e primicerio della Cattedrale di Montepulciano, Francesco Crociani, lasciò al Comune nel 1861. Riguardo alla provenienza originaria della tavola, troppo vaghe sono le notizie di Vasari (1568) che ricorda: “Fece il medesimo alcuni quadri di Nostre Donne che sono per Arezzo et in altri luoghi (…)”. Nessuna notizia risulta dai documenti della collezione Crociani.

      Dallo studio dei santi Lucia Monaci Moran (1990) ipotizza che il dipinto sia stato eseguito per il convento di San Girolamo, appartenuto al terz’ordine francescano dell’Osservanza di Montepulciano, e che il san Nicola, venerato nella zona, può essere associato ad un educandato femminile annesso al Monastero. Dello stesso parere anche Antonio Natali e Nicoletta Baldini (2005). 

 E in effetti, come risulta dal Dizionario storico geografico di Emanuele Repetti (1839) “un frequentato e ben regolato conservatorio per le fanciulle” doveva esistere proprio in San Girolamo, prima che questo venisse trasferito nella fortezza da Basso.

L’opera riporta in basso a destra un’iscrizione: “IOANNESS. ANT. LAPPOLUS/ARET. EXPRIMEBAT QU/OD ALIUS ET VOTO/ ET ANIMO CON/ CEPPISSET ANNO/ M.D. XLV”. L’artista dichiara dunque esplicitamente di essere esecutore di pensieri altrui; e Lucia Monaci Moran (1990) ribadisce che l’impianto dell’Immacolata Concezione, complesso nel suo significato concettuale, doveva aver necessariamente richiesto la partecipazione di una persona dotta coinvolta a qualche titolo nell’allogagione, in grado di esemplificare e sviluppare queste idee.

Per Giovanna Virde (1997-1999) l’atto di sottomissione del demonio che viene schiacciato da Maria, raffigurato nel centro della tavola, è un chiaro riferimento al passo del libro della Genesi (Gn III, 15) in cui è descritta la lotta tra Satana e Maria e l’avverarsi della profezia con la vittoria finale di lei. Questo tema molto dibattuto nel clima della Controriforma vide l’Ordine dei Francescani, strenui sostenitori delle tesi immacoliste, contrapporsi ai Domenicani. Gli studi che si andavano compiendo riguardo questa rappresentazione si trovano già nel 1527, quando la compagnia della Santissima Annunziata di Arezzo commissionò a Rosso Fiorentino un ciclo pittorico che riguardava il ruolo della Vergine nella redenzione, articolato attraverso le immagini del Rosario. Anche se il Rosso non concluse gli affreschi rimangono tuttavia alcuni fogli tratti dai libri della Genesi e dell’Apocalisse come il Trono di Salomone, conservato al Museo Bonnat di Bayonne, ed in particolare un disegno per una tavola, mai compiuta, raffigurante la Madonna della Misericordia conservato al Louvre di Parigi. Disegni che secondo Eugene Carroll (1967) il Lappoli non sottovalutò venti anni più tardi per la stesura dell’Immacolata Concezione di Montepulciano.

L’unico studio preparatorio a questa tavola attribuito alla mano del Lappoli è il disegno identificato da Catherine Monbeig Goguel (1971) con il n. 2089 al Cabinet des Dessins al Museo del Louvre di Parigi.

Esaminando i particolari anatomici dei santi si ritiene infatti che l’artista abbia utilizzato fogli di studi precedenti, come quello per due piedi e una mano n. 794.I.3028, conservato a Rennes, già usato per la pala dell’Adorazione dei Magi in San Francesco.

Secondo Margherita Lenzini Moriondo (1970) all’interno della macchinosa rappresentazione si potrebbe nascondere nel volto del Battista l’autoritratto del pittore.

 

Bibliografia

 

VASARI, 1568, ed. 1878-1906, VI, 1881, p. 14; REPETTI, 1839, III, p. 483; CARROLL, 1967, pp. 303-304; LENZINI MORIONDO, 1970, pp. 44-5; MONBEIG GOGUEL, 1971, pp. 10-11; MONACI MORAN, 1990, p. 18; VIRDE, 1997-1999, p. 40; NATALI-BALDINI, 2005, pp. 89-93. 





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