venerdì 22 gennaio 2016

Metafisica e avanguardie, Giorgio de Chirico e l'arte



Fino al 28 febbraio 2016 al Palazzo dei Diamanti di Ferrara si tiene un’interessante mostra su Giorgio de Chirico intitolata Metafisica e Avanguardie. Si tratta di un’esposizione di opere eseguite tra 1915 e il 1919, il cosiddetto periodo metafisico dell’artista, quando il pittore, ritornato da Parigi, soggiornò per un breve tempo a Ferrara. Il percorso espositivo corredato da approfondite didascalie, si snoda attraverso un interessante carteggio tra artisti e poeti, esemplare la corrispondenza con il poeta Guillaume Apollinaire. In effetti de Chirico e non solo, ma anche l’ambiente parigino, crearono vicendevolmente una sorta di osmosi con alcuni personaggi famosi, come le ricerche compiute in quegli anni da Pablo Picasso e dei cubisti, dal critico d’arte e pittore Maurice Raynal o dal mercante d’arte Paul Guillaume, colui che intratteneva affari anche con altri artisti italiani come Amedeo Modigliani. Da quell’esperienza de Chirico ne approfondirà alcuni richiami, sciogliendoli con echi desunti dalla pittura di due grandi artisti: il poeta e pittore Gustave Courbet e dei suoi paesaggi, per il quale nutriva una profonda ammirazione e ancor prima con i testi pittorici ripresi dal tedesco Arnold Böcklin.

La mostra pone in evidenzia alcuni temi cardine della concezione dechirichiana: quello dell’impostazione architettonica, di chiara valenza quattrocentesca a tratti venata da un tormentato classicismo e la trasformazione metafisica del luogo come tòpos recondito. Quest’ultimo rielaborato anche con la complicità della stessa Ferrara che, con le sue prospettive si adattava perfettamente alla visione enigmatica del reale di cui stava indagando de Chirico. I paesaggi di città immaginarie sembrano quasi sorti davanti all’artista durante un sogno, nei quali gli elementi fantastici si intrecciano con i ricordi delle cose vedute e vissute e dove la realtà è volontariamente trasfigurata.
L’altro tema fa luce sul rapporto che de Chirico ebbe con Carlo Carrà (cfr.le opere olio su tela ascritte al 1917 del Cavaliere occidentale e Camera incantata) durante il ricovero di entrambi, per malattie nervose, all’ospedale militare di villa del Seminario nei dintorni di Ferrara. Proprio in questo frangente i due dipinsero le opere tra le più importanti della loro vita. All'epoca del periodo ferrarese infatti (giugno 1915-1918) de Chirico realizzò alcuni dei suoi capolavori assoluti, come Il trovatore (1917, olio su tela; Milano, collezione Jucker), Ettore e Andromaca (1917, olio su tela; Milano, coll. privata), Le Muse inquietanti (1918, olio su tela; Milano, coll. privata). Vale la pena soffermarsi di fronte alle suggestive scene di addio delle opere raffiguranti: Ettore e Andromaca, o in quelle intitolate: La rivolta del savio (1916), Natura morta evangelica (1918), dove sono dipinti tre biscotti con la dicitura: superior petit beurre biscuit che paiono quasi strizzare l’occhio, benché con altro significato, alle successive zuppe di pomodoro serigrafate di Andy Warhol; non per niente nel 1985 i due si confronteranno nella mostra romana intitolata Warhol verso De Chirico per la cura di Achille Bonito Oliva. Nell’opera intitolata La malinconia della partenza (1916), appare chiara la metafora del viaggio, unita alla malinconia della separazione e l’abbandono degli affetti e delle cose care. Influssi dadaisti e surrealisti, anche se de Chirico non apparterrà mai a questa corrente, ma ne condizionerà inevitabilmente gli artisti aderenti; influiscono e partecipano a questo periodo della sua carriera artistica, le opere in mostra di Salvador Dalì, Max Ernst e una riuscita composizione di René Magritte, un olio su tela dal titolo La Condition humaine del 1933.
Concludono la mostra i famosi “mannequins”. Con queste immagini de Chirico ci condurrà verso l’ultimo periodo in cui la sua arte subirà una brusca svolta, simile a quella che osserviamo nel passaggio dalle costruzioni puramente spaziali degli anni 1910-13 a quelle “oggettive” del periodo metafisico: l’interesse dell’artista si sposterà quindi dal momento spaziale al momento del volume plastico; la figura (“l’oggetto”) ridiventa l’asse della composizione; l’artista ricorrerà di nuovo al metodo del “rendere strano”. La figura d’eroe senza viso (“Ricordi d’Iliade”) con lo strano ammasso di enigmatiche forme geometriche e architettoniche nella regione del torso, attesta eloquentemente il dominio del nuovo sistema. Il misterioso mondo dei “mannequins” riprende i suoi diritti, rivoluzione che nell’arte di de Chirico coincide come abbiamo detto, con il tempo parigino.
Nelle opere “Le muse inquietanti (1918)” e “Il Trovatore (1917)”, un soffio di tragedia pervade queste figurazioni, toccando momenti di alto pathos. Occorre indicare come una tra le più suggestive, la scena dell’addio fra Ettore e Andromaca svolta dal pittore in numerose versioni. Qui Ettore quanto Andromaca sono privi di viso, sostituiti dal noto ovoide, i loro piedi sono sottili e ricordano quelli appunto dei “mannequins”.

Credo, che la migliore frase che si addica a questo straordinario artista vicino per grandezza solo a Pablo Picasso sia quella di peintre du mystère laïc che il drammaturgo francese Jean Cocteau scrisse proprio riferendosi a de Chirico. La frase può essere intesa solo nell’accezione medievale italiana, quasi come una sintesi scenica rimane un’essenziale “narrazione” in cui la realtà non sia negata ma assunta nella superiore veridicità spirituale dell’astrazione e dell’arte.

                                          Appunti d'Arte © 2011 Barbara Rossi

                             L'articolo è consultabile anche sul sito di ArezzoNotizie
                                                             arezzonotizie 

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