Secondo articolo inerente al libro: Cibo e Salute
Dottor Franco Berrino, già direttore del Dipartimento di
Medicina Preventiva e Correttiva dell’Istituto dei Tumori di Milano e
presidente dell’associazione La Grande Via
Gli allevamenti intensivi, le monocolture e l’impatto sul
Pianeta
Oggi, comunque, il problema principale legato alla carne
rossa è il danno che gli allevamenti intensivi causano al pianeta e
all’ecosistema. Questo tipo di produzione è una componente importante
dell’effetto serra, dell’inquinamento del suolo e del consumo di acqua.
Inoltre, è un fattore estremamente impattante sul problema della fame del
mondo, perché per produrre una caloria di carne si consumano 10-15 calorie in
cibo vegetale, che potrebbero essere consumate dagli esseri umani. Oggi i
bovini, ad esempio, non si cibano più di erba, che non è un alimento adatto
all’uomo, ma consumano invece fondamentalmente cereali e legumi, cioè mais e
soia, che potrebbero sfamare intere popolazioni. L’allevamento intensivo è
quindi energivoro, consuma materie prime preziose e la resa non compensa quanto
consumato; è dunque un sistema perdente, profondamente svantaggioso e
distruttivo.
Non solo. La iper produzione di carne danneggia le
popolazioni povere, alle quali viene sottratta la terra coltivabile per fare
spazio ai grandi allevamenti, che hanno bisogno di ampie estensioni di terreno,
e alle monocolture che poi andranno a sfamare quegli animali. A rimetterci sono
i contadini, che invece potrebbero vivere di ciò che la terra produce e
potrebbero anche vendere la produzione vegetale in esubero per contribuire a
sfamare altre persone.
Laddove ci sono enormi distese di monocolture, si riducono
l’agricoltura di prossimità e di sussistenza.
Un esempio sul quale riflettere può essere quello della Costa
d’Avorio. All’inizio degli anni Settanta si percepiva un benessere
generalizzato: tutti i bambini andavano a scuola, la fame non esisteva e
l’economia era basata su caffè, cacao, caucciù e legname. Poi, negli anni
Novanta, è arrivata la guerra tra il Nord e il Sud. E allora le comunicazioni,
le esportazioni e il commercio si sono interrotti ed è arrivata la fame; i
bambini morivano, non c’era da mangiare, si era rotto un equilibrio fragile che
si basava sulla resa economica di monocolture che però non producevano alimenti
commestibili. È questo ciò su cui occorre riflettere per cambiare paradigma.
Ci sono ampie aree in Africa dove la terra serve per produrre
foraggio per gli animali, quindi è evidente che il danno generato dal consumo
di carne è ancora più grave dell’impatto negativo che la bistecca può avere sul
nostro intestino.
I benefici di un’alimentazione a base vegetale
Gli studi epidemiologici mostrano chiaramente che il consumo
dei semi fa bene alla salute. I grandi studi prospettici che hanno fornito
risultati negli ultimi vent’anni confermano che il consumo di cereali non
industrialmente raffinati è utile alla salute; tali studi hanno considerato e
seguito centinaia di migliaia di persone in Europa, in America, in Cina e in
Giappone. Chi segue un’alimentazione ricca di fibre muore meno di diabete, di
infarto, di cancro, di malattie dell’apparato respiratorio e dell’apparato
digerente, muore meno anche di malattie infettive. E i risultati sono
estremamente coerenti fra gli studi europei e quelli americani. Di tutte le
fibre, quelle con il maggior effetto protettivo appartengono a cereali, verdure
e legumi, in misura minore le fibre della frutta.
Una delle ricerche più ampie condotte
sulla correlazione tra alimentazione e patologie è il Nurses’ Healt Study,
portato avanti dall’Università di Harvard, che ha preso in esame decine e
decine di migliaia di infermiere, le prime reclutate quarant’anni fa, poi
seguite nel tempo, con compilazione
periodica di appositi questionari. Questo studio, come altri, ha fornito
informazioni importantissime e alcuni ricercatori sono riusciti ad analizzare
persino il ruolo dei singoli semi. Molto interessanti sono i risultati sul
cancro della mammella: le donne che mangiano legumi tre volte alla settimana o
più, si ammalano meno di cancro al seno, così come quelle che mangiano riso
integrale, quelle che mangiano pane bianco hanno invece un’incidenza maggiore.
Non si tratta ovviamente di risultati assoluti e definitivi, ma sono tuttavia
estremamente significativi, mostrano una direzione.
Prima dei grandi studi prospettici vi
erano solo studi cosiddetti caso-controllo, in cui si indagava
sull’alimentazione di chi si è ammalato e la si confrontava con la dieta di
persone simili non malate. La qualità di queste informazioni non era ottimale,
poiché chi si ammala ha per molte cose una percezione e un ricordo differenti
rispetto alla persona sana; inoltre spesso si confrontavano popolazioni non
realmente paragonabili. Invece, negli studi prospettici, si indaga su un gran
numero di persone sane, durante periodi lunghi di tempo, per verificare chi si
ammala e chi non si ammala, nonché per capire quali erano i fattori differenti,
presenti prima della diagnosi, tra chi si è ammalato e chi è rimasto sano.
È comunque noto da tempo che
un’alimentazione ricca di fibre preserva la salute. Fin dagli anni Ottanta un
team di ricercatori dell’Università di Napoli ha dimostrato chiaramente che
un’alimentazione ricca di fibre riduce il rischio di diabete e aiuta il
paziente diabetico a controllare meglio le sue condizioni. Le fibre hanno
inoltre un effetto benefico su gran parte delle malattie croniche che
affliggono soprattutto il mondo occidentale e che si traducono nella cosiddetta
sindrome metabolica.
La diagnosi di sindrome metabolica
implica che una persona presenta almeno tre di questi cinque segni: ventre
prominente (obesità addominale); pressione alta; glicemia elevata; basso
colesterolo buono (HDL); trigliceridi alti. Il termine sindrome metabolica è
stato coniato dai diabetologi negli anni Settanta; prima si chiamava
“sindrome“, una condizione complessa che favorisce lo sviluppo del diabete,
dell’infarto, del cancro (in particolare del fegato, poiché causa steatosi
epatica e cirrosi) e delle malattie neurodegenerative.
Il cancro e molte altre malattie
croniche sono in buona parte conseguenza di questi squilibri metabolici, che
dipendono dalla nostra alimentazione. Sono, dunque, da considerare nemici i
grassi trans, i grassi saturi, i cibi ad alto indice glicemico, cioè raffinati,
le bevande alcoliche, l’eccesso di sale e di carne e le bevande zuccherate. Va
inoltre considerato che anche le bevande cosiddette “light”, cioè dolcificate
artificialmente e senza calorie, favoriscono la sindrome metabolica, benché
il meccanismo non sia ancora del tutto chiaro. Si suppone che il gusto
esageratamente dolce, anche se dato da dolcificanti artificiali privi di
calorie, “spalanchi le porte” del nostro intestino tenue all’assorbimento del
glucosio.
Una buona prevenzione si fa, invece
consumando cereali integrali, legumi e verdure e facendo attività fisica. Vi
sono sperimentazioni cliniche che mostrano come le persone afflitte da sindrome
metabolica ottengano benefici seguendo un’alimentazione mediterranea
tradizionale a base, come detto, di cereali, legumi, verdure, frutta fresca e
oleaginosa, olio di oliva e cibo animale solo con molta moderazione. In uno
studio italiano i due terzi dei pazienti osservati sono guariti nel giro di due
anni. Studi in Spagna hanno riportato risultati analoghi.
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