sabato 23 luglio 2016

Una lettura del Colle del Pionta attraverso i manoscritti di epoca medievale



A sx una cartapecora del Messale del Pionta f.62r Biblioteca Apostolica Vaticana.
A dx una cartapecora del manoscritto 363.III.3a Biblioteca della Città di Arezzo.

Il Colle del Pionta o Duomo vecchio sta ad indicare quel fitto e ricco complesso di edifici a carattere cultuale e non, eretti durante i secoli e portati avanti nell’epoca medievale dall’autorità vescovile.
Ad oggi gli scavi sono ripartiti con l’impegno di Mauro Mariottini, presidente dell’associazione Academo, che promuove ed è concessionaria dei lavori, degli archeologi delle varie Università e con il sostegno dei volontari. A tale proposito vorrei riannodare, con alcuni articoli, questo pezzo di storia che negli ultimi secoli è purtroppo rimasto scollegato nella viva memoria cittadina ma che da questo Colle trae le sue origini.


Si pensa che la scelta del luogo fu dovuta ai primi cristiani, i quali convenivano in gruppo nei piccoli oratori sotterranei, ben nascosti entro il loro cimitero. Ma è solo con l’epoca medievale che prende avvio quel grandioso cantiere che doveva essere il Pionta. Le motivazioni e il ruolo così importante di questo apparato sorto ad Arezzo, e che ebbe così tanta fortuna, si delinea geograficamente nei suoi confini territoriali. La zona si trova estesa a nord dell’area romana, contrapponendosi a due fondazioni monastiche, quelle di Farfa o Subiaco di grande importanza per la curia papale. Un “corridoio aretino” definito da Caterina Tristano (2005), che corrisponde alla Tuscia orientale dell’epoca medievale. Quindi un’importante ruolo strategico e direzionale verso sud nelle zone comprese dell’Umbria (Città di Castello, Chiusi e Perugia), per poi risalire verso Cortona sfruttando la Via Cassia Vetus, collegata al Casentino con le diocesi di Bibbiena e Camaldoli e dall’altro versante con la Valtiberina, unendosi poi a Sansepolcro. Nonostante la diocesi aretina fosse in competizione per tutto l’Alto Medioevo con tre grandi diocesi come Siena, Forlimpopoli e Ravenna, il centro di attrazione rimase sempre inserito ad Arezzo. Evidentemente fu di una certa rilevanza la presenza già alla fine del VII secolo d.C., di una scuola al Pionta, rivolta all’educazione dei chierici ma anche ad una attività documentaria, attenta agli sviluppi culturali, come si apprende dalle testimonianze inerenti il processo di alcune pievi contese tra le diocesi di Siena e Arezzo. A questo va aggiunto che nel IX secolo, presso la sede del Pionta, si avviò un’intensa circolazione di libri, come dimostra un prezioso manoscritto, un Sacramentario oggi conservato a Parigi, che il vescovo Giovanni (867 – 900?) dona al monastero di Nonantola per ricompensare la cessione della Pieve della Chiassa, che era stata donata a quel monastero da Carlo Magno e dal duca Norberto nel 780. Il manoscritto redatto forse dalla scuola di S. Denis di Parigi, è una testimonianza soprattutto per quanto attiene l’impostazione monumentale della scrittura distintiva. Il vescovo doveva poi aver rimpolpato la biblioteca di testi a carattere letterario ma anche di libri enciclopedici, raccolti secondo le direttive della Schola Palatina, per la formazione degli ecclesiastici presso le scuole vescovili. Libri poi ridotti in bifogli che servirono in epoche più recenti per ricoprire le filze degli Atti del Comune aretino.

Segue una decadenza nel X secolo e una nuova rinascita con il vescovo Elemperto, che tra il 986 e il 998, fa ricostruire la cattedrale di S. Stefano e S. Maria al Pionta e nel 1009 riedifica la canonica, riunendo gli ecclesiastici a vita comune e rilanciando la scuola sotto la cura di Guglielmo. Una scuola in grado di avviare una produzione grafica e ornamentale per tutto il mandato tra il 1014 e il 1036 dei vescovi Adalberto e Teodaldo. Il Messale del Pionta, un Sacramentario che riporta nelle litanie i santi aretini, conservato alla Biblioteca Vaticana, è una delle più antiche testimonianze di quel periodo. A comprovare la posizione della Chiesa aretina di reverente autonomia verso Roma e dell’imperatore, è anche il testo di alcune orazioni del Venerdì Santo, in cui si descrive l’arrivo della processione della comunità religiosa aretina, al seguito del vescovo dalla Pieve alla Cattedrale di S. Maria e S. Stefano, unendo alle orazioni, la protezione dell’imperatore affinché possa sconfiggere tutte le popolazioni non cristianizzate. Con il vescovo Teodaldo di Canossa (1022 – 1036), zio della potente feudataria Matilde di Canossa, il Pionta diventa il fulcro di potere e ricchezza dell’Italia centrale. Fu Teodaldo a stringere rapporti con Ravenna, a mantenere la liaison con la corte imperiale e a fare da trait d’union con il papa Giovanni XX. Fu sempre il vescovo ad accogliere Romualdo consentendogli di fondare poi l’eremo di Camaldoli oppure ad esortare Guido monaco, proveniente dall’Abbazia di Pomposa, nel conseguire i suoi studi di musica, affidandogli successivamente la direzione della Schola cantorum, tanto famosa da essere chiamata presso il Papa nel 1027. Dalla scuola di musica a quella giuridica, quest’ultima composta da documenti formulati dal diritto canonico e conciliare e attinti dal testo dei Decretorum libri di Burchardo di Worms, opera scritta al più tardi nel 1014. Giustamente le osservazioni di Caterina Tristano portano quasi inequivocabilmente alla formazione al Pionta di una scuola esperta non solo alla grafica ma anche alla miniatura, testimonianze si riscontrano nella ricca produzione di quel corpus di libri fatto di manoscritti, libri liturgici come Bibbie, Passionari, Omiliari o testi patristici che in alcuni casi potrebbe portare a quella cultura grafica e ornamentale in forte espansione a Roma e che ad Arezzo si collega con una certa influenza...continua



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