In attesa della camminata e della visita di ricognizione
dell’intera area di scavo, fissata nella mattina di domenica 9 ottobre 2016 ore
10 e organizzata con la volontà delle associazioni: Academo (Arezzo per la Storia),
Slow Food condotta di Arezzo e Val Tiberina e A piede libero; non mi
resta che argomentare su quella attività artistica ormai dispersa che alcuni
studiosi ritengono essersi sviluppata inizialmente intorno alla fabbrica del
Duomo Vecchio.
Già nell'Ottocento seguendo lo spirito e l’onda del revival dell’antichità tre insigni aretini, Giacinto
Fossombroni, Giovan Francesco De’ Giudici e l’archeologo Gian Francesco
Gamurrini evincono dalle loro ricerche sul territorio, come appariva evidente, durante
i secoli, il forte legame tra i poteri locali con l’antico Episcopio. A questo
proposito trascrivo uno stralcio dell’articolo di Luciana Borri Cristelli (2005)
che riferisce dalle notizie desunte dei due studiosi Fossombroni – De’ Giudici:
come, mentre il Capitolo della nuova Cattedrale continuava a mantenere
nell’antico sito un cappellano, di “quegli insigni Edifizj” si prendeva cura
l’Opera “soggetta al Consiglio della Città”: organismo che nel 1395 elegge
quattro cittadini per restaurare la tribuna della primitiva cattedrale, ridotta
in pessime condizioni; mentre Vasari genericamente, parla del successivo
intervento del Vescovo Gentile de’ Becchi (1473 - 1497) a seguito della rovina
della “parte di mezzo di quel tempio” (Edizione Torrentiniana 1550). I due studiosi
si servono poi dell’edizione Giuntina scritta dal biografo nel 1568, quando
sono alla descrizione della tipologia architettonica, nell'identificazione di
due edifici ecclesiali: il primo riconosciuto nell'antica chiesa cattedrale di
S. Maria e S. Stefano, l’altro con il tempio, successivamente dedicato a S.
Donato, ambedue collegati all'immagine lasciata da Pietro Buonamici nel dipinto
della Fraternita dei Laici.
Quindi è solo con
Giorgio Vasari che possiamo estrapolare le preziose notizie, riguardo a quella
pattuglia di artisti che doveva lavorare al cantiere. Sempre seguendo il filo
dell’edizione delle Vite il biografo nell'edizione Torrentiniana ci descrive,
come la nuova cattedrale sia indicata come Vescovado, con il complesso di Pionta,
l’episcopio e le sue chiese entro le quali gli interni erano affrescati da
estese decorazioni musive, al pari delle cappelle murali. Infine ricorda alcuni
monumenti funebri addossati alle pareti come la “cassa di travertino” che
accoglieva le spoglie di Margarito
d’Arezzo insigne pittore della metà del XIII secolo.
Va da sé quindi come
il potere, unito al bisogno di affermazione del vescovo Guido Tarlati (? -1327)
imponesse anche un’alta committenza, portando ben presto i suoi frutti: il
polittico nella Pieve di S. Maria del pittore Pietro Lorenzetti e alcune opere desunte dai contratti che
intercorse con un altro grande pittore come Buonamico Buffalmacco (1290 – 1340). Le ambiziose pretese del
vescovo con quest’ultimo pittore riguardavano, un affresco nella facciata del
palazzo con disegnato un leone, simbolo della guelfa Firenze ma soggiogato
dall'aquila imperiale, emblema di Arezzo e dei Ghibellini. Tace invece Vasari,
senza dovizia di particolari, sulle “molte cose” che il Tarlati fece eseguire “nel
duomo vecchio”. Mentre dalla biografia dedicata a Giotto di Bondone (1267 – 1337), il biografo indica una Lapidazione di Santo Stefano condotta in
“una cappelluccia al Duomo fuor d’Arezzo”, presumibilmente, nella chiesa di
Santa Maria e Santo Stefano.
Del giottesco Gaddo Gaddi (1239 – 1312), si estrapola
sempre dalle Vite: “alcune cose di
musaico in una volta, la quale era tutta coperta di spugne e copriva la parte
di mezzo di quel tempio, il quale essendo troppo aggravato dalla volta antica
di pietre, rovinò al tempo del vescovo Gentile Urbinate, che la fece poi rifare
tutta di mattoni”. Trovo interessante inoltre l’affermazione di Borri
costatando come, il parallelo con l’importante produzione musiva esistente, sia
in S. Maria e S. Stefano, sia nel tempio dedicato a Donato, tenesse il passo
con una tecnica assolutamente in auge non solo a Firenze. Notizie frammentarie
riguardano un altro pittore, importante per l’enorme contributo artistico, noto
come Spinello Aretino (1350- 1410).
Sappiamo solo che lavorò nel Duomo Vecchio, affrescando una non meglio definita
cappella della chiesa di S. Stefano, che Vasari ha segnalato con una Nostra
Donna, denominata Madonna della Rosa, la quale è tenuta in gran devozione dagli
aretini ed oggi visibile in via Guglielmo Oberdan al civico 61, all'interno
della chiesa della Madonna del Duomo Vecchio già chiesa di S. Maria Maddalena.
Se pur in cattive condizioni è incorniciata dall'altare in pietra, scolpito da
Pietro di Subisso su disegno di Guillaume de Marcillat nel 1525 circa, per la chiesa
della Santissima Trinità di Arezzo. Continua…
Appunti d'Arte © 2011 Barbara Rossi
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