martedì 25 ottobre 2016

ALMA MATER mostra di Elio De Luca a cura di Barbara Rossi al Museo Ivan Bruschi Arezzo


DAL 23 OTTOBRE AL 4 NOVEMBRE 2016


Arianna e il Minotauro


Elio De Luca fin da giovanissimo, coltiva i suoi studi artistici, attraverso la lettura delle opere dei grandi maestri del Novecento, ancor prima di aver mostrato interesse, a quel recupero della tradizione pittorica primitiva e rinascimentale, nel solco lasciato dall'impronta pierfrancescana. Scorci e inquadrature, rielaborati nell'impaginazione e nella meditata lezione lasciata da Ottone Rosai,Campigli, Carrà ma anche da Gino Severini e Ardengo Soffici, per citare artisti territorialmente a lui vicini, si accostano a tangenze che derivano dalle opere del surrealista Paul Delvaux, di cui ne elabora il linguaggio formale, arrivando con rigore alla piena autonomia del tratto.
Figura predominante del suo pensiero è la donna, di cui cerca di sviscerarne i reconditi significati espressivi. Poste sempre in primo piano, in gruppo o in solitudine, si collocano su di uno scenario paesaggistico, utilizzato come se fosse una Quinta teatrale e permeato da un’atmosfera silente e atemporale, dal sapore metafisico ed in perfetta sintonia con i suoi personaggi.


Le opere di De Luca non sono di immediata comprensione e questo le rende ancora più stimolanti, all'osservatore è richiesta un’esplicita capacità di astrazione momentanea, per calarsi individualmente nell'ascolto dell’assoluto. Solo così possiamo comprenderne la poetica e il senso di ogni singolo scenario, raffigurato in gruppi femminili apparentemente accomunati ma che volgendo lo sguardo verso l’altrove, restano autonomamente solide in attesa di risposte. De Luca mostra e offre una chiave di lettura e allo stesso tempo cerca un dialogo immaginifico comunicando i dubbi, le incertezze, le suggestioni che la vita terrena ci offre ad ognuno di noi. Lui stesso riferisce come: “L’anima dei protagonisti dei miei quadri è il soffio vitale che pervade ogni essere umano, donandogli la capacità di avere coscienza di sé e degli altri qui ed ora, nel mondo materiale e mortale che noi tutti conosciamo. Quella coscienza consente di provare nei confronti dei propri simili il sentimento di pietas che costituisce – a mio modo di vedere – la natura più intima dell’essere umano. Quel sentimento è, infatti, l’unica risposta che ho saputo trovare alla continua nostra ricerca di significato. In questo senso i miei quadri che pure non si possono definire religiosi, hanno comunque una forte valenza spirituale. Ciò che ci rende “esseri umani” non è ciò che facciamo o ciò che possediamo, ma è, invece, quel sentimento di accorata ed a volte dolorosa partecipazione che in maniera più o meno forte proviamo nei confronti dell’esistenza nostra e dei nostri simili”. Il corpus di opere è raccolto in gruppi denominato Anime: le Anime salve, di chi per scelta o per necessità ha saputo conquistare, un certo grado di consapevolezza quanto meno di sé, se non che degli altri. Le Anime ritrovate, di coloro che hanno faticosamente attraversato la vita per comprendere, infine, che l’incontro con il proprio io interiore o con l’io più vero ed intimo dei propri simili, costituisce la chiave per accedere alla serenità ed al significato pieno dell’esistenza. Le Anime sconfitte, di coloro che sono stati severamente feriti dalla vita o da altri esseri umani che – non avendo coscienza o ignorando volutamente l’esistenza della propria anima e di quella altrui – non pongono alcun freno alle proprie distruttive azioni. Le Anime incantatrici, si tratta di quegli individui che raramente incontriamo, ma che in un solo attimo sanno donarci uno sprazzo di felicità attraverso l’incanto della loro lievità, gioia e semplicità. Le Anime rivelate, aspiranti alla salvezza, attraverso il gesto e la quotidiana pratica del rivelarsi agli altri.
Quesiti che avvolgono l’essere umano e che attraverso la percezione dell’artista, si mostra inquieto difronte ai cambiamenti epocali. Con delicatezza l’artista, introduce un problema quasi costante elaborato nelle sue opere, il richiamo alla vita di senso, fatta di sentimenti ed emozioni a cui si riallaccia l’amore campestre per la terra che solo trascendentalità della donna, custode della vita e della sapienza ha la sua origine. Madri o Veneri, la figura femminile simbolo della natura nei suoi aspetti positivi e negativi, dalla connotazione fortemente ambivalente, già in epoca remota, nella società primitiva, fu idealizzata e trasfigurata verso una dimensione ultraterrena. Benevola e terrifica, signora di vita e di morte, secondo Carl Gustav Jung è proprio la Grande Madre a rientrare nella simbologia più vasta e peculiare dell'archetipo femminile e riannodata dall'artista. La cui supremazia dal neolitico perdura per millenni e col passare del tempo e lo spostamento dei popoli assunse diverse personificazioni. Sempre dalle parole dello psicanalista: “la magica autorità del femminile, la saggezza e l'elevatezza spirituale che trascende i limiti dell'intelletto; ciò che è benevolo, protettivo, tollerante; ciò che favorisce la crescita, la fecondità, la nutrizione; i luoghi della magica trasformazione, della rinascita; l'istinto o l'impulso soccorrevole; ciò che è segreto, occulto, tenebroso; l'abisso, il mondo dei morti; ciò che divora, seduce, intossica; ciò che genera angoscia, l'ineluttabile”. De Luca si avvicina alla leggenda recuperando proprio dalla mitologia quella ricerca della donna, della bellezza e dell’amore, la saggezza e l’elevatezza spirituale che trascende i limiti dell’intelletto, ognuna alla ricerca della verità. Euridice, Eco, Arianna, Andromeda, Artemide, Afrodite, Psiche, rappresentazioni della coscienza matriarcale che è parte fondante della civiltà occidentale. Eroine del bene e del male campite in un corpus di opere con la tecnica del “finto” affresco a partire da uno strato di cemento steso sulla tela di juta sabbiata. Il procedimento che si predispone come per l’intonaco, risulta così pronto ad essere impresso dal tracciato disegnativo, per poi passare all'aggiunta dei pigmenti a colori naturali ed olio, stesi quasi sempre in maniera non uniforme.
Con questo tipo di opere chiamate “cementi”, De Luca completa quel passaggio di studio e assimilazione raggiungendo alti livelli non solo di espressività pittorica ma anche dal punto di vista della sua complessità formale; giungendo a quella maturità tale, atta ad esperire un linguaggio nelle immagini ancora più potente, sollecitato in questo caso, anche dalla rievocazione dei grandi racconti mitologici dell’antichità classica.

Appunti d'Arte © 2011 Barbara Rossi 

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