mercoledì 13 dicembre 2017

L' AGRICOLTURA NEL MONDO. Un caffè con la Prof.ssa Cristina Morra

In occasione del Terra Madre Day da poco festeggiato da Slow Food ho ritenuto interessante  recensire il libro della prof. Cristina Morra inerente a tali argomenti.  



Questo libro si trova presso l’editore Letizia di Arezzo in via Filzi e nelle principali librerie cittadine


Titolo: l'agricoltura nel mondo dai paesaggi tradizionali all'attuale geografia della sazietà fame e sete.
Il titolo porta ad un'analisi degli aspetti essenziali storico-geografici delle attività tradizionali agro-pastorali con la conseguente loro trasformazione nelle moderne produzioni dell'agricoltura industrializzata e dell'allevamento: questo per spiegare anche l’aumento del costo del cibo, con la conseguente riduzione della capacità di acquisto delle popolazioni povere.



Basta uscire dalla città e il paesaggio nelle regioni densamente popolate mostra l’impronta dell’uomo che ha modellato la varietà dei paesaggi agrari in base ai fattori geografici e storici. Ma, da tempo, l’umanità si chiede se la produzione di cibo sarà in grado di sostenere la popolazione mondiale in crescita. Il libro, dopo avere illustrato la varietà dei paesaggi agrari sulla terra, frutto di un’evoluzione di secoli, spiega la contraddizione odierna tra le regioni sazie e quelle affamate e assetate, con le possibili e auspicabili soluzioni. In particolare, mi riferisco a uno scritto del 2009, di Joel K. Bourne Jr. pubblicato sul National Geographic con il titolo Il piatto piange. Bourne dice che il mangiare è il più semplice e naturale dei gesti, come respirare e camminare eretti: ci sediamo a tavola, solleviamo la forchetta e assaporiamo un boccone gustoso senza chiederci da dove venga quel cibo. La società moderna ci ha liberato dall'obbligo di coltivare e di raccogliere, perfino di cucinare il nostro pane quotidiano, chiedendoci in cambio solo di pagarlo! E lì viene il punto: ce ne rendiamo conto quando i prezzi aumentano e il problema è la solvibilità economica dell’acquirente: se c’è, si mangia, altrimenti si soffre la fame! Ne parleremo.       

I cambiamenti climatici

A questo proposito, nel magazine numero 3 di novembre dell’Associazione Slow food, il fondatore Carlo Petrini parla del cambiamento climatico alla luce dei recenti fatti, quali la siccità in Italia, che ha causato problemi all'agricoltura di tutta la penisola, le bombe d’acqua a Livorno o gli incendi in Piemonte, ma anche in altre aree del mondo, ad esempio le spaventose carestie nell'Africa sub sahariana e gli uragani sulle coste americane e caraibiche. Per questo, è iniziata la campagna di sensibilizzazione chiamata Menu for Change: una proposta gastronomica di Slow food che va dall'incoraggiamento del consumo locale e di stagione, alla scelta di ricette amiche del clima (senza carne, con varietà locali di legumi, con il riutilizzo degli sprechi, …), dal preferire il cibo sfuso o con imballaggi non inquinanti, alla scelta di materie prime provenienti da agricoltura sostenibile.


Visto che sei una tra le menti più brillanti nello studio della geografia economica, tu hai affrontato questo problema qualche anno fa, sottolineando come l'umanità adesso si trovi in un pianeta caldo, affollato e affamato. Mi puoi dire qualcosa in merito?

Il discorso del Global change climatico è molto complesso e direi che è anche un po' inflazionato perché, dopo l’accordo di Parigi, cui hanno aderito tanti Paesi e dopo la marcia indietro del nuovo Presidente Statunitense Trump, l’argomento è molto discusso. Ma quello che è importante, nel caso dell’oggetto del nostro trattare, è che questi cambiamenti climatici sono non soltanto un’alterazione dell’equilibrio naturale del Pianeta, con tutti i problemi conseguenti di vario genere, ma soprattutto creano le emigrazioni. Queste partono proprio dalle zone che si stanno inaridendo poiché si riscaldano. Quindi il problema, tanto dibattuto in Italia sull'arrivo degli immigrati soprattutto dall'Africa, è legato a ciò e solo ora si comincia a capire tale risvolto.  

Come hai strutturato il libro?

Direi che questo saggio di geografia agraria e di problematiche attuali di sostenibilità si divida nettamente in due parti distinte. La prima parte riguarda quello che è stato detto all'inizio, cioè come è nata l’agricoltura e come si è sviluppata dalla Preistoria ad oggi, soffermandosi sui principali paesaggi agrari nel mondo. La seconda parte invece, affronta i problemi della fame e della sete, ma non attraverso la trattazione dell’autrice, bensì prendendo articoli da riviste geografiche specializzate che si dedicarono a queste problematiche in preparazione dell’Expo di Milano della seconda parte del 2015: per tutto l’anno precedente (il 2014) la rivista “Ambiente Società e Territorio” dell’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia, la rivista del “National Geographic” e il “Touring club” hanno pubblicato degli articoli in preparazione a questa tematica. Ho scelto alcuni di detti articoli, suddividendoli a loro volta in base ai termini essenziali del problema mondiale dell’alimentazione, e quindi della fame e delle soluzioni trovate, a livello di agricoltura industrializzata e a livello di agricolture locali tradizionali. Ho poi affrontato l’altro argomento, che è quello del problema mondiale “acqua”.   


Affronti lo snodo cruciale tra l’individuo e il suo territorio agricolo, a partire dal passaggio, compiuto diecimila anni fa, dallo sfruttamento distruttivo tipico della caccia e raccolta, ad un’economia conservativa, in cui ci si preoccupava di rinnovare le risorse utilizzate. Fu un passaggio importante per l'uomo, in quanto quest’ultimo si accorse di non essere più completamente dipendente dalla natura.
Il rischio di una forte antropizzazione porterà l'uomo ad aggiungere un altro cambiamento? Ossia si assisterà al passaggio da un’economia conservativa ad una di “cannibalizzazione territoriale” e quindi fuori controllo?

La storia dell’invenzione e dello sviluppo dell’agricoltura nel mondo è veramente affascinante e bisognerebbe che, a partire dalla scuola elementare e a finire con gli studi degli ultimi anni delle superiori, fosse veramente trattata nelle scuole italiane, dove invece è stata tolta anche negli istituti in cui si studiava, come gli Istituti per ragionieri. Comunque, per tornare all'argomento, il passaggio dalla caccia, pesca e raccolta spontanee della preistoria ad una capacità di riconoscimento di piante e allevamento di animali utili per arrivare poi alle coltivazioni, con tutte le tecniche di preparazione del suolo, di irrigazione ecc., è stato fondamentale per due conseguenze: la prima, la più grande esplosione demografica della Preistoria, avvenuta intorno ai novemila anni fa, per cui l’invenzione dell’agricoltura e della pastorizia è all'origine della nostra esistenza sulla terra oggi. Senza questo, l’uomo non si sarebbe potuto moltiplicare e sviluppare come invece è avvenuto. La seconda conseguenza è la creazione dei paesaggi agrari, il diboscamento e la sostituzione della vegetazione spontanea con piante coltivate per fare spazio al pascolo degli animali e fornire loro cibo. Il che diventa però distruttivo, per cui l’economia conservativa, così chiamata sul piano economico e così importante sul piano sociale e antropico, diventa invece distruttiva degli ambienti naturali e quindi pone l’uomo di fronte al problema della sostenibilità.  

II - III capitolo

Nel secondo capitolo fai un breve excursus delle varie tipologie attuali di agricoltura nel mondo, nel terzo capitolo passi in rassegna i tipi di paesaggio in relazione alle tecniche, al clima, all'assetto socio economico e giuridico delle aziende e infine alle problematiche.

Ancora oggi, nel mondo, esiste un’economia rurale e pastorale su base tradizionale e in questo secondo capitolo della prima parte del libro si parla di tali produzioni, suddivise per aree climatiche: le aree temperate, le tropicali umide, quella della foresta pluviale, quella monsonica, quella della savana, infine le aree tropicali secche, per arrivare al discorso della pastorizia delle aree steppiche e predesertiche, dove ancora esistono forme di nomadismo, ma in forte riduzione, per la spinta alla sedentarizzazione che, anche sul piano istituzionale e politico, i governi dei Paesi in via di sviluppo incentivano.

IV capitolo

Affronti la “Rivoluzione verde”, con i rischi causati dall'uso delle biotecnologie, e sostieni che l’equilibrio del Pianeta si debba reggere sulla conservazione della “biodiversità”. A tale proposito, nel 1992 a Rio ci fu la famosa Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile…
Qual è la posizione delle grandi potenze e dei principali Paesi su queste tematiche?

Con l’espressione “Rivoluzione verde” ci si riferisce ai progressi scientifici e tecnologici che sono cominciati alla fine degli anni Settanta nei Paesi industrializzati, in primis negli Stati Uniti d’America. Si è trattato di una serie di interventi a livello genetico, nella scelta di produzioni, sia vegetali che animali, preparate in laboratorio: qui parliamo di biotecnologie, ma anche di interventi di preparazione del contesto in cui attuare tali produzioni rivolte al mercato locale e internazionale; intendo parlare dei concimi chimici, dei diserbanti, delle tecniche d’irrigazione e di tutto ciò che serve ad aumentare la produttività. La “Rivoluzione verde” ha causato dei vantaggi, rimediando a situazioni di carestie in alcuni momenti, ma ha anche causato danni all'ambiente, al problema dell’acqua e al suolo, con conseguente inquinamento e alterazione, per cui si è ritorta contro. Di questo si parla appunto nel libro.
A Rio de Janeiro, nel 1992, non furono affrontate specificatamente queste tematiche ma, per la prima volta, si misero in evidenza i rischi dell’alterazione ecologica negli equilibri naturali del Pianeta e si coniò l’espressione di sostenibilità dello sviluppo.  Nell'ambito di questi lavori, per la prima volta, ci si rese conto dell’enorme valore della biodiversità che negli ecosistemi naturali si è formata nel corso di centinaia di migliaia di anni e che noi stiamo alterando: dobbiamo conservare questa biodiversità! Sulla sostenibilità in generale e sulla necessità di fermare i cambiamenti climatici, il discorso si fa complesso e urgente. Su tutti questi argomenti, le grandi potenze e i Paesi più importanti, come quelli emergenti, si sono posizionati in maniera diversa, con un’evoluzione negli ultimi tempi. Direi che i più sensibili a queste tematiche sono stati i Paesi dell’Unione Europea e il Giappone, molto più tardi ha aderito anche la Russia e ancora più tardi gli Stati Uniti che sono poi i principali artefici che si avvantaggiano di questa agricoltura industrializzata. Dopo che si erano “convertiti” agli accordi, è successa la “marcia indietro” del Presidente Donald Trump. Per quanto riguarda invece i Paesi Emergenti, la situazione è gravissima, sia in Cina che in India; in quest’ultima i comportamenti sono schizofrenici, perché, sul piano generale, si cerca di fare la “Rivoluzione verde” (e nel libro sono stati citati anche degli esempi di danni che essa ha causato proprio in alcune regioni indiane), ma, allo stesso tempo ci sono state anche delle esperienze di produzioni sostenibili locali. Invece, la Cina conserva un problema enorme con la crescita demografica avuta nel recente passato e la contraddizione tra zone moderne e zone di agricoltura tradizionale. Comunque, il peso demografico della Cina e dell’India è talmente enorme che le scelte che saranno fatte in questi Paesi condizioneranno il discorso a livello planetario.      

I capitolo della II parte. Cibo ed Acqua, la “geografia della fame e della sete”: problemi e soluzioni

Affronti la fame e la sete nel mondo, collegandole al problema della crescita demografica. A tale proposito, citi la teoria di Thomas Robert Malthus, alla fine del Settecento, con le sue previsioni pessimistiche, disattese però dalla Rivoluzione agraria nell'Europa occidentale che fu all'origine dell’agricoltura e della zootecnia moderne. Proponi alcune tipologie di cibo che possano migliorare la disponibilità pro - capite. Ad esempio, la distinzione fra un’alimentazione a base di vegetali ed una che privilegia le carni animali: queste ultime si ripercuotono sull'alto costo ecologico ed   economico, oltre che sull'elevato dispendio di acqua. Il dubbio è che, in un momento come questo di incertezza sulla sostenibilità idrica del Pianeta, sia davvero auspicabile continuare ad estendere il regime alimentare fondato sulle proteine animali. A tale proposito ricordiamo quanto detto inizialmente da Slow food…

Sul problema della fame, bisogna intendersi innanzitutto sul concetto stesso di “fame” e, a questo proposito, nel libro se ne passa in rassegna i vari tipi a livello scientifico: la fame acuta, la fame cronica e le carenze nutrizionali. Per quanto riguarda invece il rapporto tra produzione di cibo, fame e crescita demografica, tutti conoscono l’elemento di rottura costituito dal saggio di Malthus, il quale era molto pessimista e, di fronte all'esplosione demografica in Inghilterra del secolo XVIII, riteneva che la crescita demografica avrebbe portato alla diffusione della fame e poi ad una riduzione della popolazione. Malthus sbagliava, perché non poteva avere poteri divinatori: invece le cose andarono diversamente. La Rivoluzione agraria moderna (da non confondere con la Rivoluzione verde attuale) porterà alle nuove tecniche di rotazione con le leguminose, per produrre cereali e foraggere, creando l’allevamento moderno, cominciato in Olanda e portato a termine in Inghilterra e nella Francia del nord. Questo progresso fu all'origine della fine delle carestie e della morte per fame nell’ Europa occidentale e all'esplosione demografica di tale area, nei secoli XVIII - XIX. L’aumento della forza – lavoro, insieme alle invenzioni tecniche, portarono alla prima Rivoluzione industriale del Settecento/Ottocento, con nuovi sistemi produttivi, nuove professioni, nuovi assetti sociali (pur con grandi sacrifici umani), creando un sistema economico moderno, sfociato purtroppo nel consumismo della seconda e terza Rivoluzione industriale. Gli avvenimenti accaduti, sia nel campo delle produzioni alimentari, sia in quello dei beni di consumo, hanno portato ad un ottimismo eccessivo in tutti gli anni Sessanta del secolo XX e sarà soltanto con gli anni Settanta che ci si renderà conto sia dei danni ecologici al pianeta, sia della impossibilità di continuare così all'infinito. Se andiamo al discorso della esplosione demografica attuale a livello mondiale, questa riguarda i Paesi poveri e quelli in via di sviluppo, con le conseguenti emigrazioni, mentre abbiamo un calo demografico, con il problema dell’invecchiamento della popolazione, nei Paesi ricchi. Dobbiamo renderci conto che non possiamo produrre cibo per una popolazione in eterna crescita, dato che si pongono dei limiti. Quindi, o si prendono dei provvedimenti, non solo a livello ecologico ma anche a livello sociale, economico e produttivo e si abbassano i costi di produzione, si generalizza il commercio, si distribuiscono i generi alimentari, e allora tutto ciò potrà essere sostenibile, oppure, se non lo si fa, vuol dire che Malthus aveva ragione, riprendendo in considerazione l’aspetto pessimistico per cui non possiamo avere una crescita illimitata di cibo a danno del pianeta e impossibile da sostenere, in pratica.    

La questione degli OGM e il miracolo del Malawi. Rivoluzione verde, tecnologica o agricoltura sostenibile tradizionale?

Accenni poi a vari tipi di grano, soffermandoti sulla vicenda del Kamut. Inoltre, il grano duro Senator detto “Creso” è utilizzato nel 90% per la pasta prodotta in Italia e sembra essere il responsabile del forte aumento di Celiaci.
Molti nutrizionisti propendono per un pane con sostanze non raffinate, quindi integrali. Parli di Km 0. Ad Arezzo abbiamo il grano Verna e dal Sud, in alcune panetterie, arriva il pane con la farina Senatore Cappello.

La questione “OGM sì OGM no” è un altro degli argomenti inflazionati e ampiamente dibattuti spesso da personaggi che non sono preparati scientificamente. Nel libro, si spiega che gli OGM rientrano nella rivoluzione biotecnologica dei laboratori scientifici americani e di altri Paesi avanzati. Questa rivoluzione è basata sul principio dell’introduzione nel DNA di alcune specie vegetali e animali di geni di altre specie animali o vegetali, anche incrociate. Una cosa molto diversa dalla selezione di varie specie nell'ambito di un genere animale o vegetale. Si può arrivare addirittura a introdurre geni vegetali in cellule animali e geni animali in cellule vegetali. Il tutto a fin di bene, con un doppio intento, sia di ottenere produzioni maggiori come quantità e migliori come qualità (resistenti alle malattie delle piante e quindi utili contro le carestie per aiutare i Paesi poveri), sia di fermare o prevenire alcune malattie umane che sono spesso legate ad una alimentazione squilibrata con pochi cereali. Si pensi, ad esempio, ai problemi della vista e della pellagra, nel caso dell’abuso del mais. Non sempre, quindi, gli OGM sono negativi. Però, gli OGM sono pericolosi, perché non sappiamo, a distanza di molti anni, quello che può accadere in una nutrizione basata per decenni su di essi e non sappiamo neppure quelle che potrebbero essere le conseguenze di un campo di prodotti geneticamente modificati, coltivati vicino ad altri campi dove invece ci sono produzioni tradizionali. Terzo problema: ci sono degli alimenti come le merendine, che possono contenere farine e altre sostanze modificate, per cui persone che credono di non mangiare gli OGM, facendo attenzione a non comprarli, non si rendono conto che poi li assumono lo stesso. Si dice che ci vuole prudenza e ci vogliono tempi lunghi per sapere se ci saranno danni ambientali e conseguenze sulla salute umana, perciò allora bisogna essere prudenti.
Infine, è importante sapere che queste biotecnologie sono attuate, nelle produzioni, dopo le soluzioni scientifiche dei laboratori, da multinazionali che producono, oltre alle sementi modificate, anche i concimi, i diserbanti, i pesticidi: la principale è la Monsanto. Tali aziende e sono pochissime nel mondo: nel 1999 solo quattro società controllavano il 67% del mercato nord americano di sementi e cereali. Ma, da quando hanno inventato, il “pacchetto completo”, che oltre alle sementi comprende tutto quello che serve per attuare la produzione, le multinazionali hanno un monopolio che ha delle conseguenze enormi sul piano dei costi per i produttori/agricoltori, e sul piano dell’alterazione ambientale. Ecco perché dobbiamo controllare l’operato di certe multinazionali e nel libro si dice che il consumatore potrà astenersi da alcuni acquisti. Ma ciò non basta: chiaramente bisognerà trovare delle soluzioni a livello politico ed economico internazionale per la tutela del pianeta sul piano ambientale e per la tutela delle persone. C’è un movimento che parte dal basso, che anche attraverso i social network ormai è evidente, anche se a volte avvengono delle etichettature politiche. Dato che, molto spesso, sono movimenti di sinistra che attaccano le multinazionali, le tesi sostenute vengono bollate da chi non è di quella corrente e viceversa. Allo stesso tempo, non si possono demonizzare sempre tutti gli OGM: bisogna che le persone si documentino scientificamente in maniera obiettiva e seguano queste realtà, stando molto attente. Inoltre, per quanto riguarda gli OGM, nel corso della storia dell’uomo, quando questi ha selezionato animali e piante per ottenere ciò che voleva, lo ha fatto sempre nel settore delle singole specie: questa faccenda di mescolare delle cellule di specie diverse, sia del regno vegetale che animale, non era mai accaduto in natura.
Sul discorso delle produzioni industrializzate o di un ritorno a produzioni tradizionali riviste e migliorate e quindi rese più produttive, si può dire che questo è il dilemma principale in cui oggi l’agricoltura si dibatte. Direi che sia gli organismi internazionali, sia i paesi in via di sviluppo sono ad un bivio. Abbiamo degli esempi, come in Africa, in cui, dopo avere aderito a programmi di “Rivoluzione verde”, sponsorizzati dalla Banca mondiale e chiaramente dalle multinazionali che vendevano i pacchetti completi cui accennavo prima, alcuni Paesi si sono accorti che la produttività non è stata tanto alta, mentre i danni ambientali erano evidenti. Hanno quindi provato a fare un ritorno alle economie tradizionali, che sono tra l’altro molto più adatte ad agricoltori poveri, spesso non preparati tecnicamente, ma anche, dal punto di vista psicologico, più propensi a seguire le proprie tradizioni.
Quindi, nel libro si parla di alcuni progetti dell’Angola ma soprattutto dei Villaggi del millennio in Malawi in cui si è tornati alla produzione di mais fatta con sistemi ecologici tradizionali. Per quanto riguarda il discorso di queste ultime produzioni tradizionali rimodernate, si capisce che le possiamo fare anche nei nostri paesi. La riscoperta e la valorizzazione di cereali, legumi, ortaggi non solo può avvenire migliorando la qualità e usando produzioni biologiche e naturali, ma anche nel rispetto del famoso Km 0. Infatti, l’aumento dei costi delle produzioni alimentari è molto legato a quello del trasporto: non ha senso far venire dall'altra parte del mondo alcune produzioni che possiamo fare “a casa nostra”.
Il discorso del Km 0 è ormai conosciutissimo ed è portato avanti da anni da Slow food; esso è valido e fattibile.
Per quanto riguarda le riscoperte di alcune produzioni locali, ricordiamo la vicenda del famoso Kamut, che è stato sponsorizzato come una produzione ecologica importante, ma che invece nasconde una vicenda che ha fatto credere quello che non era.
Qualche anno fa, venne fuori il lancio del grano Kamut che fu “inventato” da un’azienda americana nel Montana e dopo con una forte produzione anche in Canada. La parola Kamut deriva da un geroglifico egiziano perché venne diffusa la notizia del “il grano del faraone Tut (da cui il nome, facendo credere che fosse quello usato nell’antico Egitto). Una favola, servita a pubblicizzare il prodotto insieme, insieme poi alla réclame sulla sua biologicità. In realtà, non si tratta del grano del faraone: il cereale in questione non è altro che un grano italiano di nome Khorasan cioè il Triticum turgidum o grano Khorasan, che è stato sempre prodotto e utilizzato in Basilicata. Successivamente, si è capito che, anziché comprare il Kamut dall’America per pagarne il marchio, sarebbe stato più economico tornare all'uso del Khorasan. Negli ultimi vent’anni questa produzione è stata portata avanti e in Italia c’è sia la vendita delle farine, sia la vendita di pane e di pasta fatte di Khorasan. Pare che questa varietà di cereale sia molto più digeribile; inoltre, non subendo trattamenti particolari, non provocherebbe allergie.
Un’altra varietà è stato il grano duro Senator che è utilizzato per tantissima produzione della pasta italiana, anche se parrebbe responsabile dell’aumento della celiachia.
   
Negli studi svolti dalla “geografia dell’alimentazione” si parla di “turismo enogastronomico”, evidenziando la figura del “gastronauta”. Credi che potrebbe essere una tra le alternative valide, rivolte a ciascun individuo, non solo per una maggiore conoscenza del proprio territorio, ma anche per averne, in futuro, una maggiore consapevolezza e cura sia dell’ambiente che della salute?

Quella del gastronauta è una figura moderna che sta prendendo piede soprattutto in Italia e direi massimamente nelle regioni Toscana, Umbria e Puglia. Sono tanti i gastronauti, ma chi sono? Il gastronauta è colui che pratica il “turismo enogastronomico”. È il turista del fine settimana che va alla scoperta dei territori vicini o comunque in un raggio raggiungibile facilmente nello spazio di un week end, dove ci sono delle produzioni vinicole (quindi turismo enologico nel caso italiano e francese) e produzioni di agricoltura e di allevamento biologiche, tipiche di quel determinato territorio. Ciò rientra in uno studio della “geografia dell’alimentazione” che è iniziato da diversi decenni e che ha portato anche a una considerazione che sembra ovvia, ma che spesso non viene evidenziata, e cioè che l’identità di persone e luoghi è legata alle produzioni alimentari, con una loro riscoperta positiva. La massificazione dovuta all'agricoltura industrializzata, ai supermercati, alle catene dei fast food, che porta agli stessi cibi industrializzati nelle tavole calde di tutti i Paesi del mondo, stava facendo perdere l’identità delle persone e dei luoghi, come disse già nel 2004, il direttore della rivista dell'Associazione Italiana Insegnanti di Geografia (AIIG), prof. Carlo Brusa. Ma il presidente dell’omonima Associazione, prof. Gino de Vecchis dell’Università La Sapienza di Roma, si è dedicato proprio allo studio di questo turismo enogastronomico di cui rivela due aspetti positivi. Da una parte, i turisti permettono alle imprese alimentari tipiche di un territorio conosciuto e stimato, magari per aspetti di Storia dell’arte, tradizioni storiche o folklore, di avere una chance in più, entrando in contatto con potenziali clienti. Ecco quindi la proliferazione di cooperative che, in un momento di mancanza di posti di lavoro, permettono l’ingresso nel mercato di giovani imprenditori. Si tratta di un campo che certamente fa moda, ma che è chiaramente positivo per i territori stessi e spesso per i luoghi meno noti, non per le grandi città, ma per piccoli centri e borghi che diventano maggiormente fruibili. Dall'altra parte, il turista che va alla ricerca di un’alternativa alla “massificazione”, scopre tutti gli aspetti di questi territori. L’ agriturista che pratica queste produzioni può anche andare a vedere monumenti o riscoprire aspetti culturali e folkloristici della propria tradizione. Ad esempio, in Casentino, posso fare il turismo enogastronomico ma, se vado nella zona della Verna e di Camaldoli, scoprirò anche la spiritualità francescana e camaldolense, insieme alle opere d’arte delle chiese. Quindi, tutti noi potremmo essere gastronauti o food trotter!!      

Cristina Morra


Docente di ruolo di Geografia dal 1977 al 2005 presso Istituti Superiori di Arezzo e provincia.

Abilitata anche in Discipline Turistiche e in Discipline Aziendali.
E' stata membro del gruppo di lavoro ministeriale predisposto dalla Commissione Brocca per la stesura dei nuovi programmi di Geografia per le Superiori,  nel periodo 1988/91.
Ha collaborato con L'IRRSAE  TOSCANA.
Ha realizzato il Progetto didattico Scuola/ Territorio con il suo Istituto Tecnico Commerciale Buonarroti di Arezzo e il Comune di Arezzo.
E' inserita nel ruolo dei Formatori di Geografia, dopo il corso nazionale del M.P.I. nel 2001.
E' socio d'onore dell'A.I.I.G.=Associazione Italiana Insegnanti di Geografia, per la quale ha diretto per anni la sezione di Arezzo e collaborato nel Consiglio Nazionale Centrale  e nel Consiglio Toscana.
Ha tenuto lezioni didattiche  all'Università di
Firenze per le S.I.S.S.
E' da anni docente della UEL=Università dell'Età Libera di Arezzo.
E' socia della Società Geografica Italiana di Roma e della Società di Studi Geografici di Firenze.
Ha collaborato con la Casa Editrice DE AGOSTINI di Milano per l'organizzazione di convegni didattici nazionali geografici.
E' stata autrice della collana di testi scolastici:
L'Uomo organizza il suo ambiente, con la Casa editrice Markes Tramontana di Milano.
Ha collaborato con Enti, come Ucodep  e Rondine Cittadella della Pace di Arezzo e con Mani Tese di Milano, nonché con Riviste come L'Universo di Firenze.

E' autrice, con l'editore Letizia di Arezzo, di testi-saggio:
Globalizzati, ma liberi e sviluppati, 2006, segnalato per la Saggistica al Premio Nazionale Tulliola del 2009
Il Pianeta squilibrato, 2012
L'Agricoltura nel mondo,2014
Con lo stesso editore aretino ha pubblicato anche:
Uno sguardo su Arezzo e il suo centro storico, 2007
Emozioni visive dalla Birmania, testo fotografico di viaggio, 2011.


Appunti d'Arte©2011 Barbara Rossi 

  

   









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