In occasione del Terra Madre Day da poco festeggiato da Slow Food ho ritenuto interessante recensire il libro della prof. Cristina Morra inerente a tali argomenti.
Questo libro si trova presso l’editore Letizia di Arezzo in via Filzi e nelle principali librerie cittadine
Titolo: l'agricoltura nel mondo dai paesaggi tradizionali all'attuale geografia della sazietà fame e sete.
Il titolo porta ad un'analisi degli aspetti essenziali storico-geografici delle attività tradizionali agro-pastorali con la conseguente loro trasformazione nelle moderne produzioni dell'agricoltura industrializzata e dell'allevamento: questo per spiegare anche l’aumento del costo del cibo, con la conseguente riduzione della capacità di acquisto delle popolazioni povere.
Basta uscire dalla
città e il paesaggio nelle regioni densamente popolate mostra l’impronta
dell’uomo che ha modellato la varietà dei paesaggi agrari in base ai fattori
geografici e storici. Ma, da tempo, l’umanità si chiede se la produzione di
cibo sarà in grado di sostenere la popolazione mondiale in crescita. Il libro,
dopo avere illustrato la varietà dei paesaggi agrari sulla terra, frutto di
un’evoluzione di secoli, spiega la contraddizione odierna tra le regioni sazie e
quelle affamate e assetate, con le possibili e auspicabili soluzioni. In
particolare, mi riferisco a uno scritto del 2009, di Joel K. Bourne Jr. pubblicato
sul National Geographic con il titolo Il piatto
piange. Bourne dice che il mangiare è il più semplice e naturale dei gesti,
come respirare e camminare eretti: ci sediamo a tavola, solleviamo la forchetta
e assaporiamo un boccone gustoso senza chiederci da dove venga quel cibo. La
società moderna ci ha liberato dall'obbligo di coltivare e di raccogliere,
perfino di cucinare il nostro pane quotidiano, chiedendoci in cambio solo di
pagarlo! E lì viene il punto: ce ne rendiamo conto quando i prezzi aumentano e
il problema è la solvibilità economica dell’acquirente: se c’è, si mangia, altrimenti si soffre la fame! Ne parleremo.
I cambiamenti
climatici
A questo proposito, nel magazine numero 3 di
novembre dell’Associazione Slow food, il fondatore Carlo Petrini parla del
cambiamento climatico alla luce dei recenti fatti, quali la siccità in Italia,
che ha causato problemi all'agricoltura di tutta la penisola, le bombe d’acqua
a Livorno o gli incendi in Piemonte, ma anche in altre aree del mondo, ad
esempio le spaventose carestie nell'Africa sub sahariana e gli uragani sulle
coste americane e caraibiche. Per questo, è iniziata la campagna di
sensibilizzazione chiamata Menu for
Change: una proposta gastronomica di Slow food che va dall'incoraggiamento del
consumo locale e di stagione, alla scelta di ricette amiche del clima (senza
carne, con varietà locali di legumi, con il riutilizzo degli sprechi, …), dal
preferire il cibo sfuso o con imballaggi non inquinanti, alla scelta di materie
prime provenienti da agricoltura sostenibile.
Click alla pagina Slowfood magazine 29 novembre 2017
Visto che sei una tra le menti più brillanti
nello studio della geografia economica, tu hai affrontato questo problema qualche
anno fa, sottolineando come l'umanità adesso si trovi in un pianeta caldo,
affollato e affamato. Mi puoi dire qualcosa in merito?
Il discorso del Global
change climatico è molto complesso e direi che è anche un po' inflazionato
perché, dopo l’accordo di Parigi, cui hanno aderito tanti Paesi e dopo la
marcia indietro del nuovo Presidente Statunitense Trump, l’argomento è molto
discusso. Ma quello che è importante, nel caso dell’oggetto del nostro trattare,
è che questi cambiamenti climatici sono non soltanto un’alterazione
dell’equilibrio naturale del Pianeta, con tutti i problemi conseguenti di vario
genere, ma soprattutto creano le emigrazioni. Queste partono proprio dalle zone
che si stanno inaridendo poiché si riscaldano. Quindi il problema, tanto
dibattuto in Italia sull'arrivo degli immigrati soprattutto dall'Africa, è
legato a ciò e solo ora si comincia a capire tale risvolto.
Come hai strutturato il libro?
Direi che questo saggio di geografia agraria e di
problematiche attuali di sostenibilità si divida nettamente in due parti
distinte. La prima parte riguarda quello che è stato detto all'inizio, cioè
come è nata l’agricoltura e come si è sviluppata dalla Preistoria ad oggi,
soffermandosi sui principali paesaggi agrari nel mondo. La seconda parte invece,
affronta i problemi della fame e della sete, ma non attraverso la trattazione
dell’autrice, bensì prendendo articoli da riviste geografiche specializzate che
si dedicarono a queste problematiche in preparazione dell’Expo di Milano della
seconda parte del 2015: per tutto l’anno precedente (il 2014) la rivista “Ambiente
Società e Territorio” dell’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia, la
rivista del “National Geographic” e il “Touring club” hanno pubblicato degli
articoli in preparazione a questa tematica. Ho scelto alcuni di detti articoli,
suddividendoli a loro volta in base ai termini essenziali del problema mondiale
dell’alimentazione, e quindi della fame e delle soluzioni trovate, a livello di
agricoltura industrializzata e a livello di agricolture locali tradizionali. Ho
poi affrontato l’altro argomento, che è quello del problema mondiale “acqua”.
Affronti lo snodo cruciale tra l’individuo e il
suo territorio agricolo, a partire dal passaggio, compiuto diecimila anni fa, dallo
sfruttamento distruttivo tipico della caccia e raccolta, ad un’economia conservativa,
in cui ci si preoccupava di rinnovare le risorse utilizzate. Fu un passaggio
importante per l'uomo, in quanto quest’ultimo si accorse di non essere più
completamente dipendente dalla natura.
Il rischio di una forte antropizzazione porterà
l'uomo ad aggiungere un altro cambiamento? Ossia si assisterà al passaggio da
un’economia conservativa ad una di “cannibalizzazione territoriale” e quindi fuori
controllo?
La storia dell’invenzione e dello sviluppo dell’agricoltura
nel mondo è veramente affascinante e bisognerebbe che, a partire dalla scuola
elementare e a finire con gli studi degli ultimi anni delle superiori, fosse
veramente trattata nelle scuole italiane, dove invece è stata tolta anche negli
istituti in cui si studiava, come gli Istituti per ragionieri. Comunque, per
tornare all'argomento, il passaggio dalla caccia, pesca e raccolta spontanee
della preistoria ad una capacità di riconoscimento di piante e allevamento di
animali utili per arrivare poi alle coltivazioni, con tutte le tecniche di
preparazione del suolo, di irrigazione ecc., è stato fondamentale per due
conseguenze: la prima, la più grande esplosione demografica della Preistoria,
avvenuta intorno ai novemila anni fa, per cui l’invenzione dell’agricoltura e
della pastorizia è all'origine della nostra esistenza sulla terra oggi. Senza
questo, l’uomo non si sarebbe potuto moltiplicare e sviluppare come invece è
avvenuto. La seconda conseguenza è la creazione dei paesaggi agrari, il diboscamento
e la sostituzione della vegetazione spontanea con piante coltivate per fare spazio
al pascolo degli animali e fornire loro cibo. Il che diventa però distruttivo,
per cui l’economia conservativa, così chiamata sul piano economico e così importante
sul piano sociale e antropico, diventa invece distruttiva degli ambienti
naturali e quindi pone l’uomo di fronte al problema della sostenibilità.
II - III capitolo
Nel secondo capitolo fai un breve excursus delle
varie tipologie attuali di agricoltura nel mondo, nel terzo capitolo passi in
rassegna i tipi di paesaggio in relazione alle tecniche, al clima, all'assetto
socio economico e giuridico delle aziende e infine alle problematiche.
Ancora oggi, nel mondo, esiste un’economia rurale e pastorale
su base tradizionale e in questo secondo capitolo della prima parte del libro
si parla di tali produzioni, suddivise per aree climatiche: le aree temperate,
le tropicali umide, quella della foresta pluviale, quella monsonica, quella
della savana, infine le aree tropicali secche, per arrivare al discorso della
pastorizia delle aree steppiche e predesertiche, dove ancora esistono forme di
nomadismo, ma in forte riduzione, per la spinta alla sedentarizzazione che,
anche sul piano istituzionale e politico, i governi dei Paesi in via di
sviluppo incentivano.
IV
capitolo
Affronti
la “Rivoluzione verde”, con i rischi causati dall'uso delle biotecnologie, e sostieni
che l’equilibrio del Pianeta si debba reggere sulla conservazione della
“biodiversità”. A tale proposito, nel 1992 a Rio ci fu la famosa Conferenza
delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile…
Qual è
la posizione delle grandi potenze e dei principali Paesi su queste tematiche?
Con l’espressione “Rivoluzione
verde” ci si riferisce ai progressi scientifici e tecnologici che sono
cominciati alla fine degli anni Settanta nei Paesi industrializzati, in primis
negli Stati Uniti d’America. Si è trattato di una serie di interventi a livello
genetico, nella scelta di produzioni, sia vegetali che animali, preparate in
laboratorio: qui parliamo di biotecnologie, ma anche di interventi di
preparazione del contesto in cui attuare tali produzioni rivolte al mercato
locale e internazionale; intendo parlare dei concimi chimici, dei diserbanti, delle
tecniche d’irrigazione e di tutto ciò che serve ad aumentare la produttività. La
“Rivoluzione verde” ha causato dei vantaggi, rimediando a situazioni di
carestie in alcuni momenti, ma ha anche causato danni all'ambiente, al problema
dell’acqua e al suolo, con conseguente inquinamento e alterazione, per cui si è
ritorta contro. Di questo si parla appunto nel libro.
A Rio de Janeiro, nel
1992, non furono affrontate specificatamente queste tematiche ma, per la prima
volta, si misero in evidenza i rischi dell’alterazione ecologica negli equilibri
naturali del Pianeta e si coniò l’espressione di sostenibilità dello sviluppo.
Nell'ambito di questi lavori, per la prima volta, ci si rese conto dell’enorme
valore della biodiversità che negli ecosistemi naturali si è formata nel corso
di centinaia di migliaia di anni e che noi stiamo alterando: dobbiamo
conservare questa biodiversità! Sulla sostenibilità in generale e sulla
necessità di fermare i cambiamenti climatici, il discorso si fa complesso e
urgente. Su tutti questi argomenti, le grandi potenze e i Paesi più importanti,
come quelli emergenti, si sono posizionati in maniera diversa, con un’evoluzione
negli ultimi tempi. Direi che i più sensibili a queste tematiche sono stati i
Paesi dell’Unione Europea e il Giappone, molto più tardi ha aderito anche la
Russia e ancora più tardi gli Stati Uniti che sono poi i principali artefici che
si avvantaggiano di questa agricoltura industrializzata. Dopo che si erano “convertiti”
agli accordi, è successa la “marcia indietro” del Presidente Donald Trump. Per
quanto riguarda invece i Paesi Emergenti, la situazione è gravissima, sia in
Cina che in India; in quest’ultima i comportamenti sono schizofrenici, perché,
sul piano generale, si cerca di fare la “Rivoluzione verde” (e nel libro sono
stati citati anche degli esempi di danni che essa ha causato proprio in alcune regioni
indiane), ma, allo stesso tempo ci sono state anche delle esperienze di
produzioni sostenibili locali. Invece, la Cina conserva un problema enorme con
la crescita demografica avuta nel recente passato e la contraddizione tra zone
moderne e zone di agricoltura tradizionale. Comunque, il peso demografico della
Cina e dell’India è talmente enorme che le scelte che saranno fatte in questi
Paesi condizioneranno il discorso a livello planetario.
I
capitolo della II parte. Cibo ed Acqua, la “geografia della fame e della sete”:
problemi e soluzioni
Affronti
la fame e la sete nel mondo, collegandole al problema della crescita
demografica. A tale proposito, citi la teoria di Thomas Robert Malthus, alla
fine del Settecento, con le sue previsioni pessimistiche, disattese però dalla
Rivoluzione agraria nell'Europa occidentale che fu all'origine dell’agricoltura
e della zootecnia moderne. Proponi alcune tipologie di cibo che possano
migliorare la disponibilità pro - capite. Ad esempio, la distinzione fra un’alimentazione
a base di vegetali ed una che privilegia le carni animali: queste ultime si ripercuotono
sull'alto costo ecologico ed economico, oltre che sull'elevato dispendio di
acqua. Il dubbio è che, in un momento come questo di incertezza sulla
sostenibilità idrica del Pianeta, sia davvero auspicabile continuare ad
estendere il regime alimentare fondato sulle proteine animali. A tale proposito
ricordiamo quanto detto inizialmente da Slow food…
Sul problema della
fame, bisogna intendersi innanzitutto sul concetto stesso di “fame” e, a questo
proposito, nel libro se ne passa in rassegna i vari tipi a livello scientifico:
la fame acuta, la fame cronica e le carenze nutrizionali. Per quanto riguarda invece
il rapporto tra produzione di cibo, fame e crescita demografica, tutti conoscono
l’elemento di rottura costituito dal saggio di Malthus, il quale era molto
pessimista e, di fronte all'esplosione demografica in Inghilterra del secolo
XVIII, riteneva che la crescita demografica avrebbe portato alla diffusione
della fame e poi ad una riduzione della popolazione. Malthus sbagliava, perché
non poteva avere poteri divinatori: invece le cose andarono diversamente. La
Rivoluzione agraria moderna (da non confondere con la Rivoluzione verde
attuale) porterà alle nuove tecniche di rotazione con le leguminose, per produrre
cereali e foraggere, creando l’allevamento moderno, cominciato in Olanda e
portato a termine in Inghilterra e nella Francia del nord. Questo progresso fu
all'origine della fine delle carestie e della morte per fame nell’ Europa
occidentale e all'esplosione demografica di tale area, nei secoli XVIII - XIX. L’aumento
della forza – lavoro, insieme alle invenzioni tecniche, portarono alla prima
Rivoluzione industriale del Settecento/Ottocento, con nuovi sistemi produttivi,
nuove professioni, nuovi assetti sociali (pur con grandi sacrifici umani),
creando un sistema economico moderno, sfociato purtroppo nel consumismo della
seconda e terza Rivoluzione industriale. Gli avvenimenti accaduti, sia nel
campo delle produzioni alimentari, sia in quello dei beni di consumo, hanno
portato ad un ottimismo eccessivo in tutti gli anni Sessanta del secolo XX e
sarà soltanto con gli anni Settanta che ci si renderà conto sia dei danni
ecologici al pianeta, sia della impossibilità di continuare così all'infinito.
Se andiamo al discorso della esplosione demografica attuale a livello mondiale,
questa riguarda i Paesi poveri e quelli in via di sviluppo, con le conseguenti emigrazioni,
mentre abbiamo un calo demografico, con il problema dell’invecchiamento della
popolazione, nei Paesi ricchi. Dobbiamo renderci conto che non possiamo
produrre cibo per una popolazione in eterna crescita, dato che si pongono dei
limiti. Quindi, o si prendono dei provvedimenti, non solo a livello ecologico
ma anche a livello sociale, economico e produttivo e si abbassano i costi di
produzione, si generalizza il commercio, si distribuiscono i generi alimentari,
e allora tutto ciò potrà essere sostenibile, oppure, se non lo si fa, vuol dire
che Malthus aveva ragione, riprendendo in considerazione l’aspetto pessimistico
per cui non possiamo avere una crescita illimitata di cibo a danno del pianeta
e impossibile da sostenere, in pratica.
La
questione degli OGM e il miracolo del Malawi. Rivoluzione verde, tecnologica o agricoltura
sostenibile tradizionale?
Accenni
poi a vari tipi di grano, soffermandoti sulla vicenda del Kamut. Inoltre, il grano duro Senator
detto “Creso” è utilizzato nel 90% per la pasta prodotta in Italia e sembra essere
il responsabile del forte aumento di Celiaci.
Molti
nutrizionisti propendono per un pane con sostanze non raffinate, quindi
integrali. Parli di Km 0. Ad Arezzo abbiamo il grano Verna e dal Sud, in alcune panetterie, arriva il pane con la farina
Senatore Cappello.
La questione “OGM sì
OGM no” è un altro degli argomenti inflazionati e ampiamente dibattuti spesso
da personaggi che non sono preparati scientificamente. Nel libro, si spiega che
gli OGM rientrano nella rivoluzione biotecnologica dei laboratori scientifici
americani e di altri Paesi avanzati. Questa rivoluzione è basata sul principio
dell’introduzione nel DNA di alcune specie vegetali e animali di geni di altre
specie animali o vegetali, anche incrociate. Una cosa molto diversa dalla
selezione di varie specie nell'ambito di un genere animale o vegetale. Si può
arrivare addirittura a introdurre geni vegetali in cellule animali e geni
animali in cellule vegetali. Il tutto a fin di bene, con un doppio intento, sia
di ottenere produzioni maggiori come quantità e migliori come qualità (resistenti
alle malattie delle piante e quindi utili contro le carestie per aiutare i Paesi
poveri), sia di fermare o prevenire alcune malattie umane che sono spesso
legate ad una alimentazione squilibrata con pochi cereali. Si pensi, ad esempio,
ai problemi della vista e della pellagra, nel caso dell’abuso del mais. Non
sempre, quindi, gli OGM sono negativi. Però, gli OGM sono pericolosi, perché
non sappiamo, a distanza di molti anni, quello che può accadere in una
nutrizione basata per decenni su di essi e non sappiamo neppure quelle che potrebbero
essere le conseguenze di un campo di prodotti geneticamente modificati, coltivati
vicino ad altri campi dove invece ci sono produzioni tradizionali. Terzo
problema: ci sono degli alimenti come le merendine, che possono contenere farine
e altre sostanze modificate, per cui persone che credono di non mangiare gli
OGM, facendo attenzione a non comprarli, non si rendono conto che poi li
assumono lo stesso. Si dice che ci vuole prudenza e ci vogliono tempi lunghi
per sapere se ci saranno danni ambientali e conseguenze sulla salute umana, perciò
allora bisogna essere prudenti.
Infine, è importante sapere
che queste biotecnologie sono attuate, nelle produzioni, dopo le soluzioni
scientifiche dei laboratori, da multinazionali che producono, oltre alle
sementi modificate, anche i concimi, i diserbanti, i pesticidi: la principale è
la Monsanto. Tali aziende e sono
pochissime nel mondo: nel 1999 solo quattro società controllavano il 67% del
mercato nord americano di sementi e cereali. Ma, da quando hanno inventato, il “pacchetto
completo”, che oltre alle sementi comprende tutto quello che serve per attuare
la produzione, le multinazionali hanno un monopolio che ha delle conseguenze
enormi sul piano dei costi per i produttori/agricoltori, e sul piano dell’alterazione
ambientale. Ecco perché dobbiamo controllare l’operato di certe multinazionali e
nel libro si dice che il consumatore potrà astenersi da alcuni acquisti. Ma ciò
non basta: chiaramente bisognerà trovare delle soluzioni a livello politico ed
economico internazionale per la tutela del pianeta sul piano ambientale e per
la tutela delle persone. C’è un movimento che parte dal basso, che anche
attraverso i social network ormai è evidente,
anche se a volte avvengono delle etichettature politiche. Dato che, molto
spesso, sono movimenti di sinistra che attaccano le multinazionali, le tesi
sostenute vengono bollate da chi non è di quella corrente e viceversa. Allo
stesso tempo, non si possono demonizzare sempre tutti gli OGM: bisogna che le
persone si documentino scientificamente in maniera obiettiva e seguano queste
realtà, stando molto attente. Inoltre, per quanto riguarda gli OGM, nel corso
della storia dell’uomo, quando questi ha selezionato animali e piante per
ottenere ciò che voleva, lo ha fatto sempre nel settore delle singole specie: questa
faccenda di mescolare delle cellule di specie diverse, sia del regno vegetale che
animale, non era mai accaduto in natura.
Sul discorso delle
produzioni industrializzate o di un ritorno a produzioni tradizionali riviste e
migliorate e quindi rese più produttive, si può dire che questo è il dilemma
principale in cui oggi l’agricoltura si dibatte. Direi che sia gli organismi
internazionali, sia i paesi in via di sviluppo sono ad un bivio. Abbiamo degli
esempi, come in Africa, in cui, dopo avere aderito a programmi di “Rivoluzione
verde”, sponsorizzati dalla Banca mondiale e chiaramente dalle multinazionali
che vendevano i pacchetti completi cui accennavo prima, alcuni Paesi si sono
accorti che la produttività non è stata tanto alta, mentre i danni ambientali
erano evidenti. Hanno quindi provato a fare un ritorno alle economie
tradizionali, che sono tra l’altro molto più adatte ad agricoltori poveri, spesso
non preparati tecnicamente, ma anche, dal punto di vista psicologico, più
propensi a seguire le proprie tradizioni.
Quindi, nel libro si
parla di alcuni progetti dell’Angola ma soprattutto dei Villaggi del millennio in
Malawi in cui si è tornati alla produzione di mais fatta con sistemi ecologici
tradizionali. Per quanto riguarda il discorso di queste ultime produzioni
tradizionali rimodernate, si capisce che le possiamo fare anche nei nostri
paesi. La riscoperta e la valorizzazione di cereali, legumi, ortaggi non solo
può avvenire migliorando la qualità e usando produzioni biologiche e naturali,
ma anche nel rispetto del famoso Km 0.
Infatti, l’aumento dei costi delle produzioni alimentari è molto legato a
quello del trasporto: non ha senso far venire dall'altra parte del mondo alcune
produzioni che possiamo fare “a casa nostra”.
Il discorso del Km 0 è ormai conosciutissimo ed è portato
avanti da anni da Slow food; esso è valido e fattibile.
Per quanto riguarda le
riscoperte di alcune produzioni locali, ricordiamo la vicenda del famoso Kamut, che è stato sponsorizzato come
una produzione ecologica importante, ma che invece nasconde una vicenda che ha
fatto credere quello che non era.
Qualche anno fa, venne
fuori il lancio del grano Kamut che
fu “inventato” da un’azienda americana nel Montana e dopo con una forte
produzione anche in Canada. La parola Kamut
deriva da un geroglifico egiziano perché venne diffusa la notizia del “il grano
del faraone Tut” (da cui il nome, facendo
credere che fosse quello usato nell’antico Egitto). Una favola, servita a
pubblicizzare il prodotto insieme, insieme poi alla réclame sulla sua
biologicità. In realtà, non si tratta del grano del faraone: il cereale in
questione non è altro che un grano italiano di nome Khorasan cioè il Triticum turgidum
o grano Khorasan, che è stato sempre
prodotto e utilizzato in Basilicata. Successivamente, si è capito che, anziché
comprare il Kamut dall’America per
pagarne il marchio, sarebbe stato più economico tornare all'uso del Khorasan. Negli ultimi vent’anni questa
produzione è stata portata avanti e in Italia c’è sia la vendita delle farine,
sia la vendita di pane e di pasta fatte di Khorasan.
Pare che questa varietà di cereale sia molto più digeribile; inoltre, non
subendo trattamenti particolari, non provocherebbe allergie.
Un’altra varietà è
stato il grano duro Senator che è utilizzato
per tantissima produzione della pasta italiana, anche se parrebbe responsabile
dell’aumento della celiachia.
Negli studi svolti dalla “geografia
dell’alimentazione” si parla di “turismo enogastronomico”, evidenziando la
figura del “gastronauta”. Credi che potrebbe essere una tra le alternative valide,
rivolte a ciascun individuo, non solo per una maggiore conoscenza del proprio
territorio, ma anche per averne, in futuro, una maggiore consapevolezza e cura
sia dell’ambiente che della salute?
Quella del gastronauta
è una figura moderna che sta prendendo piede soprattutto in Italia e direi massimamente
nelle regioni Toscana, Umbria e Puglia. Sono tanti i gastronauti, ma chi sono? Il gastronauta
è colui che pratica il “turismo enogastronomico”. È il turista del fine
settimana che va alla scoperta dei territori vicini o comunque in un raggio
raggiungibile facilmente nello spazio di un week end, dove ci sono delle
produzioni vinicole (quindi turismo enologico nel caso italiano e francese) e
produzioni di agricoltura e di allevamento biologiche, tipiche di quel
determinato territorio. Ciò rientra in uno studio della “geografia
dell’alimentazione” che è iniziato da diversi decenni e che ha portato anche a
una considerazione che sembra ovvia, ma che spesso non viene evidenziata, e
cioè che l’identità di persone e luoghi è legata alle produzioni alimentari, con
una loro riscoperta positiva. La massificazione dovuta all'agricoltura
industrializzata, ai supermercati, alle catene dei fast food, che porta agli stessi cibi industrializzati nelle tavole
calde di tutti i Paesi del mondo, stava facendo perdere l’identità delle
persone e dei luoghi, come disse già nel 2004, il direttore della rivista dell'Associazione Italiana Insegnanti di Geografia (AIIG), prof. Carlo Brusa. Ma il presidente dell’omonima Associazione, prof. Gino de
Vecchis dell’Università La Sapienza di Roma, si è dedicato proprio allo studio di
questo turismo enogastronomico di cui rivela due aspetti positivi. Da una parte,
i turisti permettono alle imprese alimentari tipiche di un territorio
conosciuto e stimato, magari per aspetti di Storia dell’arte, tradizioni
storiche o folklore, di avere una chance
in più, entrando in contatto con potenziali clienti. Ecco quindi la proliferazione
di cooperative che, in un momento di mancanza di posti di lavoro, permettono
l’ingresso nel mercato di giovani imprenditori. Si tratta di un campo che
certamente fa moda, ma che è chiaramente positivo per i territori stessi e
spesso per i luoghi meno noti, non per le grandi città, ma per piccoli centri e
borghi che diventano maggiormente fruibili. Dall'altra parte, il turista che va
alla ricerca di un’alternativa alla “massificazione”, scopre tutti gli aspetti
di questi territori. L’ agriturista che pratica queste produzioni può anche andare
a vedere monumenti o riscoprire aspetti culturali e folkloristici della propria
tradizione. Ad esempio, in Casentino, posso fare il turismo enogastronomico ma,
se vado nella zona della Verna e di Camaldoli, scoprirò anche la spiritualità
francescana e camaldolense, insieme alle opere d’arte delle chiese. Quindi,
tutti noi potremmo essere gastronauti
o food trotter!!
Cristina Morra
Docente di ruolo di
Geografia dal 1977 al 2005 presso Istituti Superiori di Arezzo e provincia.
Abilitata anche in Discipline Turistiche e in Discipline Aziendali.
E' stata membro del gruppo di lavoro ministeriale predisposto dalla Commissione
Brocca per la stesura dei nuovi programmi di Geografia per le Superiori,
nel periodo 1988/91.
Ha collaborato con L'IRRSAE TOSCANA.
Ha realizzato il Progetto didattico Scuola/ Territorio con il suo Istituto
Tecnico Commerciale Buonarroti di Arezzo e il Comune di Arezzo.
E' inserita nel ruolo dei Formatori di
Geografia, dopo il corso nazionale del M.P.I. nel 2001.
E' socio d'onore dell'A.I.I.G.=Associazione
Italiana Insegnanti di Geografia, per la quale ha diretto per anni la
sezione di Arezzo e collaborato nel Consiglio Nazionale Centrale e nel
Consiglio Toscana.
Ha tenuto lezioni didattiche all'Università di
Firenze per le S.I.S.S.
E' da anni docente della UEL=Università dell'Età Libera di Arezzo.
E' socia della Società Geografica
Italiana di Roma e della Società
di Studi Geografici di Firenze.
Ha collaborato con la Casa Editrice DE AGOSTINI di Milano per l'organizzazione
di convegni didattici nazionali geografici.
E' stata autrice della collana di testi scolastici:
L'Uomo organizza il suo ambiente, con
la Casa editrice Markes Tramontana
di Milano.
Ha collaborato con Enti, come Ucodep
e Rondine Cittadella della Pace
di Arezzo e con Mani Tese di
Milano, nonché con Riviste come L'Universo di Firenze.
E' autrice, con l'editore Letizia di
Arezzo, di testi-saggio:
Globalizzati, ma liberi e sviluppati,
2006, segnalato per la Saggistica al Premio Nazionale Tulliola del 2009
Il Pianeta squilibrato, 2012
L'Agricoltura nel mondo,2014
Con lo stesso editore aretino ha pubblicato anche:
Uno sguardo su Arezzo e il suo centro
storico, 2007
Emozioni visive dalla Birmania, testo
fotografico di viaggio, 2011.
Appunti d'Arte©2011 Barbara Rossi
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