giovedì 31 ottobre 2019

Cittadini liberi e consumatori consapevoli nel mondo globalizzato. Un caffè con la Prof.ssa Cristina Morra



Alla luce delle nuove tematiche che il mondo sta affrontando. 
Ho ritenuto interessante recensire il libro della Prof.ssa Cristina Morra inerente a tali problematiche.


Il testo è stato segnalato, per la saggistica, al Premio Internazionale TULLIOLA – 2009 -


Giovedì 7 novembre 2019 alle ore 18.00 ad Arezzo 

presso Verde ACQUA BY POUREAU, via Lorenzetti  64/66 

TAVOLA ROTONDA. Incontro con la Prof.ssa Cristina Morra, geografa, autrice del libro

Interverranno:

Dott.ssa Barbara Rossi, moderatrice, storica dell'arte e curatrice di eventi 

Dott.ssa Maria Letizia Puzzella, economista, gestore   de L'ALVEARE GIOTTO di Arezzo









Che cosa è e in che cosa consiste il termine “Globalizzazione”

Ci sono due modi per definirla: mondializzazione e globalizzazione, caduto in disuso il primo termine, di origine francese, prevalendo nettamente quello di matrice anglosassone, ossia globalizzazione. È un’interrelazione stretta tra i vari paesi del mondo di vario livello, di relazioni reciproche in vari campi, ma soprattutto conosciuta nel mondo dell’economia.
La situazione a cui siamo arrivati è conseguenza di un processo lentissimo, durato secoli, che ha dato origine a una prima e a una seconda globalizzazione. Adesso siamo nella nuova globalizzazione che si è andata affermando a partire dalla fine degli anni Settanta del XX secolo.

Globalizzazione intesa come omologazione della società e del costume?

Se noi passiamo in rassegna le fasi che hanno portato alla situazione attuale, partendo dai secoli scorsi, vediamo che l’attuale globalizzazione non è altro che il risultato finale di due processi. Prima, un processo di europeizzazione del mondo sfociato nella occidentalizzazione del mondo, di cui parla Serge Latouche e che è conseguenza dell’espansione coloniale europea, poi l’americanizzazione del mondo, iniziata tra la prima e la seconda guerra mondiale, e divenuta imperante dopo la seconda guerra per cui gli Stati Uniti sono diventati il simbolo dell’occidente.
Vediamo che in questa occidentalizzazione entra anche un altro paese: il Giappone.

In che senso si parla di vecchia e nuova Globalizzazione?

La vecchia globalizzazione è un fenomeno che si è verificato in concomitanza di due presupposti. Le nuove scoperte geografiche e cioè l’apertura della via marittima delle Indie e la scoperta dell’America, avvenute alla fine del XV secolo e affermatesi da quello successivo; e la conseguenza delle varie forme di colonialismo europeo con le varie potenze che si sono via via succedute, a partire dalla Spagna e dal Portogallo e poi dalla Gran Bretagna. Il secondo presupposto riguarda la prima rivoluzione industriale, che è avvenuta in Gran Bretagna e poi nel resto dell’Occidente, tra la fine del XVIII e durante il XIX secolo. Senza questi due aspetti, non sarebbe avvenuta quella che i geografi chiamano l’apertura del mondo in un unico grande schema. Fino ad allora esistevano delle aree di influenza di alcune potenze nel corso della storia, ad esempio l’area mediterranea in cui risiedeva l’impero romano, le Repubbliche marinare o la Lega anseatica del mar del Nord e del Baltico nel basso Medioevo, l’impero cinese, la regione dell’America centro-meridionale dei popoli precolombiani. Bene tutti avevano creato senz'altro delle aree di influenza politico-economico ma a circuito chiuso. Dobbiamo adesso immaginare che, con le grandi scoperte geografiche, con il primo colonialismo commerciale, poi quello di popolamento e di potere (dopo la conferenza di Berlino alla fine dell’Ottocento con la divisione dell’Africa in territori della Francia e dell’Inghilterra soprattutto) si è venuto a creare un unico grande cerchio su cui l’Europa prevaleva. Con la seconda rivoluzione industriale, questo processo si accentuerà, (la prima rivoluzione industriale è quella legata all’energia del carbone, la seconda rivoluzione industriale è conseguenza della scoperta dell’energia idroelettrica, del motore a scoppio e del motore diesel). Quando si ha la seconda rivoluzione industriale, il commercio mondiale non riguarda più solamente prodotti tropicali e manufatti, ma anche le materie pesanti, in special modo i prodotti minerari, su cui le grandi potenze europee metteranno le mani, dando origine all'industria di base, l’industria chimica e più tardi alla petrolchimica. Con la seconda rivoluzione industriale, abbiamo la massima espansione di questa globalizzazione dei mercati, con approvvigionamento di materie prime lontane e la prevalenza dei prodotti industriali dell’Occidente. Invece, dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, accadrà un cambiamento che porterà alla terza rivoluzione industriale che, insieme al fenomeno politico che spiegherò successivamente, rappresenta l’origine della nuova globalizzazione.

Con lo sviluppo degli Stati Uniti d’America, già a partire dagli anni Trenta del Novecento, e successivamente l’espansione del grande mercato interno americano nonché la partecipazione sempre più grande degli Stati Uniti agli scambi mondiali di materie prime e prodotti, si affermerà una situazione di bipolarismo politico, ossia di divisione del mondo, che dopo la seconda guerra mondiale diventerà fortissima, sfociando nella guerra fredda, tra il sistema occidentale capitalistico e neo liberista, capeggiato dagli Stati Uniti e dai partner dell’Occidente nella Nato, e l’Unione Sovietica, con il modello marxista, uscita rafforzata dal secondo conflitto mondiale.
Questa situazione durerà per tutti gli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta e una parte degli anni Ottanta, sembrando agli occhi del mondo, una situazione non superabile, che invece crollerà con il famoso 1989 e la caduta del Comunismo. Questo aspetto è molto legato alla nuova globalizzazione, perché questa non sarebbe potuta avvenire se non fosse crollato il sistema marxista, considerato come un contraltare, rispetto al sistema occidentale. Ma la nuova globalizzazione è anche figlia della terza rivoluzione industriale, quest’ultima legata all'elettronica e all'informatica e quindi ai progressi dei vecchi calcolatori elettronici fino a quelli più moderni. Senza questa possibilità di nuove tecnologie e di decentramento delle produzioni e di rapporti interconnessi, legati all'uso del computer, non sarebbe potuta avvenire la nuova globalizzazione, la quale ha un genitore tecnologico ed economico, che è quello delle nuove tecnologie informatiche e un genitore politico, che è la fine del sistema comunista. Quindi l’affermazione, dopo il 1989, è che il sistema occidentale americano legato al libero commercio e al neoliberismo, si trova vincitore. L’espressione TINA "There is no alternative" usata da Margaret Thatcher, stava per “dobbiamo fare per forza così…”: ciò non è vero assolutamente, ma è stato fatto credere; le conseguenze le vedremo più avanti, intanto basta dire che sono quelle di un sistema, certamente con tanti aspetti positivi, ma anche con tante ombre e tanti nodi che stanno venendo al pettine.

Scenari della globalizzazione intesa come omologazione della società e del costume: ce ne vuoi parlare?

Tutti parlano della globalizzazione dell’economia ed è certamente l’aspetto prevalente più evidente. Ma, in realtà, l’attuale globalizzazione ha dei risvolti più profondi, e direi anche subdoli, che consistono nella globalizzazione ideologica e nella omologazione dei comportamenti. Secondo i sociologici e i filosofi, è proprio la globalizzazione ideologica il pericolo maggiore, che è alla base degli altri caratteri della globalizzazione. Un altro aspetto evidente, e su cui non mi soffermo, è la globalizzazione dei problemi: se il mondo è interconnesso sempre di più, vuol dire che ci sono dei problemi che sono diventati generali, quali quelli ambientali, ad esempio i cambiamenti climatici, le piogge acide, l’effetto serra, lo sfruttamento irrazionale delle risorse, l’esaurimento dei combustibili tradizionali, fino all'aumento delle malattie e delle epidemie. Tutto questo fa parte di problematiche nuove che vanno affrontate e risolte a livello mondiale. Ma la globalizzazione ideologica porta alla fine del pensiero critico, creando invece il mito del mercato, per cui tutto si potrebbe risolvere semplicemente dando un prezzo a persone e cose. Il libero commercio, che è rappresentato dalla sua organizzazione con l’acronimo OMC, afferma che l’eliminazione dei dazi e gli scambi devono essere sempre più intensi, dovendo portare a vantaggi reciproci. Si tratta di tesi immaginarie, visto che in realtà non abbiamo nessun libero commercio. Infatti, il commercio mondiale è dominato da grossi gruppi finanziari ed economici, come le multinazionali, le quali hanno veramente libero accesso al mercato, bloccando la partecipazione dei piccoli produttori; quindi, quando parliamo della valorizzazione dei prodotti locali, della conservazione delle tradizioni dei vari paesi, delle culture, tutto viene massificato. Quella massificazione ideologica si vede nei comportamenti delle generazioni moderne e nasconde il bisogno di ritrovare le radici ormai perdute.



Giudizi sulla globalizzazione e ipotesi a confronto: teorie di R. Ikenberry e T. Friedman.

Sulla globalizzazione, da una trentina di anni, è in corso uno scontro tra la destra e la sinistra. È vero che il sistema capitalistico neoliberista ha prevalso, ma prevalere sul piano economico e politico non vuol dire che esso sia nel giusto, per cui i critici del sistema sono sempre più agguerriti a contestarlo. Contestazione che risulta sempre più difficile perché le leve, anche del potere massmediatico e dell’informazione, sono nelle mani dei neoliberisti. Ci sono però le forze tradizionaliste e di centro destra che enfatizzano gli aspetti positivi della globalizzazione che hanno portato a delle innegabili conseguenze positive. Invece il centro sinistra enfatizza le ombre e gli aspetti negativi. Queste osservazioni, riportate negli incisi del libro, riguardano alcuni studiosi. Negli Stati Uniti dice Ikenberry, e in altri paesi progrediti, la globalizzazione è uno sviluppo gradito: essa rappresenta il grande ideale liberale, dà la possibilità a tanti paesi di mettersi in evidenza, di entrare nell'informazione mondiale come Internet, e nel campo della vendita dei propri prodotti. Tutto questo è evidente nei paesi emergenti, come la Cina, l’India, il Messico, il Brasile, non vale invece per i Paesi meno avanzati, i quali stanno sprofondando sempre di più. Ikenberry dice che la globalizzazione non crea solo vincitori, ma anche vinti, e il divario economico tra i vari Paesi e pure all’interno di essi anche nel mondo sviluppato, si è accentuato, evidenziando la povertà. Ne deriva che la globalizzazione non favorisce tutti i paesi nella stessa misura. Se invece vogliamo andare a vedere Friedman, egli sostiene che l’integrazione economica globale è certamente complessa e multiforme, anche se tutto sommato crea incentivi e limitazioni che rendono meno probabili le grandi guerre. Per Ikenberry questa affermazione presenta però aspetti diversi, il primo è che la globalizzazione porta a crescenti standard di vita uniforme, per cui i Paesi coinvolti hanno sempre più grandi interessi in gioco, tendendo a intensificare le loro reti di connessione. Ma, l’interdipendenza economica fa aumentare punti di contatto e di attrito. Si veda recentemente il conflitto dei dazi che la stessa Organizzazione Mondiale del Commercio ha permesso agli Stati Uniti di apporre sui prodotti europei.

Aree sviluppate – sottosviluppate. La ricchezza vista come strumento di accesso e sottosviluppo. Un fenomeno nuovo.

Il problema è annoso, si entra in una terminologia specialistica che è stata appannaggio di storici, geografi, sociologi ed economisti a partire dalla metà degli anni Cinquanta del Novecento, e cioè il concetto di sviluppo e sottosviluppo e come la nuova globalizzazione si inserisce nel migliorare o peggiorare questa situazione. Dobbiamo accennare che il quadro mondiale del livello di ricchezza disponibile pro capite per gli abitanti dei vari Paesi ha subito una serie di modifiche fortissime negli ultimi cinquant'anni. Oggi non si può più parlare di un mondo sviluppato unitario e di uno sottosviluppato, altrettanto uniforme. Né tanto meno di quella che era la ripartizione della fine degli anni Cinquanta, quando fu coniato il concetto di Terzo mondo, e quindi il Primo mondo quello ricco e capitalistico di tipo americano, il Secondo mondo quello sovietico relativo al sistema marxista e il Terzo quello neutrale, ma in gran parte costituito da Paesi poveri. Questa tripartizione fu superata già quando, negli anni Ottanta, si disse che il Terzo mondo, quello dei Paesi poveri, si stava differenziando tra alcuni che sprofondavano e altri che erano in via di miglioramento. Ma anche questo è superato, perché dagli anni Novanta in poi, in concomitanza con l’affermarsi della terza rivoluzione industriale e la nuova globalizzazione, abbiamo avuto uno sviluppo a macchia di leopardo. Vuol dire che ci sono delle aree di ombra all’interno dei Paesi avanzati, e delle aree invece di luce e inizio di sviluppo nei Paesi sottosviluppati. Chiariamo innanzitutto la terminologia dei significati sviluppo e sottosviluppo, il primo non significa essere semplicemente ricchi e il secondo essere poveri. La cosa è molto più complessa, perché il sottosviluppo non è la povertà del passato, come quella rurale di molti decenni fa, oppure quella di tanti paesi soprattutto localizzati nelle regioni subsahariana, andina o del Bangladesh. Non si parla di povertà in questo senso ma di una situazione nuova, di una serie di circoli viziosi di carattere economico, sociale, politico, per cui i Paesi che si trovano in una grave situazione di arretratezza e di povertà culturale, tecnologica ed economica e non riescono ad emergere. Questa è la novità che aggrava la situazione, perché dalla povertà del passato, che era diffusa fino all'Ottocento e in gran parte del mondo compresi i Paesi oggi avanzati, siamo venuti fuori. Cito gli studi di Yves Lacoste e di Pierre George a partire dagli anni Sessanta e Settanta dove è risultato che la novità nel mondo, non è stata la povertà, ma è stato lo sviluppo. Il fatto che alcuni Paesi siano venuti fuori da questa situazione è dovuto a una serie di circostanze positive come la prima rivoluzione industriale, la rivoluzione dei trasporti, l’avvento di una classe intraprendente, quale la nuova borghesia imprenditoriale, uniti ai sacrifici della classe lavoratrice, la quale ha portato all’affermazione dei diritti della classe operaia e al miglioramento del tenore di vita. Tutto questo, che noi chiamiamo sviluppo e che è stato studiato a fondo da molti esperti, non si può verificare nei Paesi oggi poveri. Per cui oggi parliamo di un mondo avanzato ma con ombre, e di Paesi emergenti in via di sviluppo che stanno venendo avanti e dove certamente la globalizzazione dei mercati può fornire una possibilità, sia negli scambi commerciali sia nel movimento dei turisti. E l’indice che può realmente misurare il livello, non è fatto dalla quantità di beni disponibili pro capite, ma dall’indice di sviluppo umano, dove conta tantissimo l’istruzione e la speranza di vita, che è legata poi alle condizioni sanitarie del Paese.

Paesi indebitati. Riporto alcuni casi recenti: Grecia, Portogallo, Spagna.

Questi Paesi si sono ritrovati con un debito pubblico forte nel loro bilancio, sforando i parametri dell’Unione Europea, ed è un fatto recente legato a scelte sbagliate, ma anche a dei parametri piuttosto rigidi che andranno rivisti da parte dell’Unione Europea. Quando noi parliamo di Paesi indebitati a livello mondiale, noi dobbiamo riferirci però ai Paesi meno avanzati (PMA): è lì che abbiamo una situazione tragica, perché con scambio ineguale, pilotato dalle multinazionali e dall'Organizzazione mondiale del commercio, perché questi Paesi esportano derrate agricole e materie prime minerarie con scarso valore aggiunto e importano prodotti finiti, facendo lievitare il loro debito. Tante volte si è pensato all'azzeramento del debito ma ciò non serve a molto; se non cambiamo alla radice il sistema, con un aumento del livello culturale e capacità produttive migliori, dando accesso a un mercato completo, le multinazionali continueranno a imperare con i loro prodotti.

Deforestazione – caso dell’Amazzonia – Distruzione della biodiversità. Quale ruolo giocano le multinazionali nei confronti del cibo?

Qui ci si può ricollegare alle conseguenze ambientali della nuova globalizzazione: la corsa allo sfruttamento delle materie prime: vegetali, agricole, minerarie, certamente si è accentuata non solo per l’aumento degli scambi, ma soprattutto per l’avvento nel mercato dei Paesi in via di sviluppo; pensiamo alla Cina, all'India o al Brasile. Quindi, le conseguenze sull'esaurimento delle risorse, sull'alterazione degli ecosistemi locali, sul geo-sistema generale, l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, fino ad arrivare all'accentuazione dell’effetto serra e ai cambiamenti climatici in atto ormai sotto gli occhi di tutti, rappresentano un discorso purtroppo grave, ancorché attuale. La globalizzazione comporta anche la possibilità di prendere coscienza di questo, attraverso l’informazione.
Ma veniamo al discorso sul ruolo delle multinazionali. Queste, per esempio nella deforestazione, hanno delle responsabilità enormi, come ad esempio in Amazzonia. Da una conferenza che ascoltai nel lontano 1990, di un professore universitario torinese che ritornava dal Brasile, appresi che si deforestava per fare i pascoli per gli hamburger della McDonald’s, per cui si coniò l’espressione hamburgerizzazione dell’Amazzonia!!! Non parliamo poi del taglio della foresta per le autostrade, per la creazione di piantagioni tropicali, per cacciare i popoli locali, fino ad arrivare agli incendi recenti: non sappiamo quanto siano stati provocati localmente per creare spazi e quanto invece siano sfuggiti di mano con l’aumento stesso della temperatura. Lo stesso discorso è avvenuto anche in Siberia, con incendi dovuti a temporali e fulmini locali a causa del riscaldamento climatico, e una minore umidità. Pensiamo poi degli incendi del 2016 accaduti in Indonesia, per fare spazio alle piantagioni di olio di palma, che crearono una nube tossica, stagnante sul territorio, che i cicloni e le piogge torrenziali riuscirono a risolvere. Per cui ci sono le responsabilità delle multinazionali dei minerali, e quelle legate all'agricoltura, come la Monsanto. Quest’ultima crea i suoi prodotti con studi di laboratorio, imponendo agli agricoltori dei Paesi in via di sviluppo, di comprare il suo pacchetto con le sementi che ogni anno vanno riacquistate perché fatte in laboratorio, oppure la necessità dei pesticidi, i diserbanti, andando contro agli interessi per la salvaguardia dell’ambiente e delle produzioni tradizionali e locali dei popoli.

Nuove forme di organizzazione per combattere i problemi.  ONU – G8.

Quando vogliamo porre sul tappeto queste problematiche di carattere ambientale e sociale con l’accentuazione degli squilibri tra aree forti e aree deboli o all’interno delle varie Nazioni, cerchiamo chiaramente dei correttivi. Questi, per la salvaguardia dell’ambiente, possono essere anche trovati e messi in atto con comportamenti virtuosi dei cittadini. Ecco perché occorreranno persone consapevoli e consumatori critici: se un cittadino si rende conto che i prodotti standardizzati delle multinazionali del cibo fanno male, oltre che alla salute, anche al pianeta terra, pensando alla rivalutazione delle produzioni locali, certamente ciò è da considerare positivamente. Forse, risulta essere l’aspetto migliore tra le ricadute positive della globalizzazione il Glocal, ossia la valorizzazione dei territori locali immessi poi nella rete globale. Parliamo di una dinamica globale/locale: per fare questo dovremmo conoscere le risorse locali, avere accesso all'informazione globale, ed avere una grande capacità di penetrazione commerciale e politica, in sostanza fare del marketing territoriale. Questo deve avere almeno la compresenza di tre fattori: il cittadino consapevole e preparato, le associazioni di categoria e la classe politica che deve sponsorizzare le risorse locali.
Per tornare alla domanda iniziale, i comportamenti virtuosi o la valorizzazione delle produzioni locali e la salvaguardia degli ecosistemi, non possono essere attuati solamente con la buona volontà delle persone, perché, se le multinazionali non smetteranno di fare quelle alterazioni che portano all'inquinamento di cui ho parlato prima, non potremo raggiungere una soluzione definitiva. Per arrivare a questo ci vogliono degli accordi internazionali, per esempio quelli delle Nazioni Unite per la salvaguardia del clima e degli ecosistemi. Mi riferisco alla conferenza di Rio del 1992, che ha coniato il concetto di sviluppo sostenibile, cioè uno sviluppo economico e sociale che sia compatibile con la salvaguardia dell’ecologia, e con la tutela dei diritti delle generazioni future a mantenere le risorse. Per fare questo le Nazioni Unite hanno indetto una serie di conferenze, sui singoli problemi o su problemi generali, fino ad arrivare a quelli recenti sul cambiamento climatico. Anche se questo tipo di discorso è mancante di una forza politica, le Nazioni Unite possono fare delle conferenze, emanare una serie di documenti scientifici e politici, possono incoraggiare i Paesi ad agire in maniera virtuosa, ma non possono imporre le soluzioni, poiché non hanno potere politico, tantomeno l’assemblea generale. Le soluzioni sono lasciate ai politici dei vari Paesi. Il discorso del G8 oppure dell’Unione europea, ossia di associazioni di Paesi, comincia già ad avere una valenza diversa. I Paesi del G8, oltre a parlare di scambi, di eliminazione di dazi e accordi, possono certamente prendere delle decisioni di carattere positivo, come nel campo ambientale e sociale. Anche se nutro forti dubbi in proposito, perché sono dominati sempre dall'Organizzazione mondiale del commercio e dalle multinazionali. Mentre nei riguardi dell’Unione Europea ho delle speranze perché è stata la prima a parlare del problema climatico e a sponsorizzare, insieme al Giappone, gli accordi di Kyoto dal 1997 in poi. L’Unione europea quando prende delle decisioni divengono immediatamente obbligatorie per i Paesi membri. Ma la cosa più importante da fare è quello di cambiare le regole dell’ONU. Le Nazioni Unite dovranno avere più voce in capitolo nell'ambito politico: bisogna che le decisioni dei congressi mondiali diventino obbligatorie per tutti i Paesi membri. Senza una sovranità mondiale su problematiche ambientali e sociali, cioè senza una governance internazionale, non potremo mai procedere ad una ristrutturazione delle regole mondiali.
A partire da una definizione che fu data dal Vaticano all'avvento del XXI secolo, ossia del Giubileo del 2000, occorre la Globalizzazione della solidarietà. Perché se, per adesso, è semplicemente enunciata, qualcosa si è mosso, con la nascita del famoso popolo di Seattle. Le persone che contestarono l’OMC e poi, nel 2001, il G8 di Genova, presero il nome dei no-global.
La Globalizzazione della solidarietà dovrà essere uno dei correttivi: su questo Papa Francesco, nella enciclica sull'ecologia Laudato si’ del 2015, non ha parlato solamente, nella prima parte, di tutti i danni ambientali che l’attuale sistema porta avanti e dei correttivi da seguire, ma ha spiegato chiaramente che i problemi ambientali e sociali sono due facce dello stesso problema. La scelta di fondo dell’attuale sistema è sempre quella di mettere il profitto al primo posto, attraverso la visione di una economia consumistica, di sfruttamento e di profitto: ciò è all'origine dei danni all'ambiente e dell’accentuazione degli squilibri fra Paesi ricchi e Paesi poveri. Quindi la globalizzazione della solidarietà è stata la bandiera del Vaticano e anche di sociologi ed economisti che spesso non hanno tanto accesso alle fonti di informazione, perché queste sono in mano alle classi dirigenti.
   
Contrari e favorevoli alla globalizzazione. Idee per una nuova e migliore globalizzazione. Il movimento “New - Global” e il metodo della cooperazione decentrata.

Dopo la contestazione dei no-global è nato un altro movimento, i new-global, i quali vorrebbero correggere il sistema e non contestarlo in toto, attraverso la valorizzazione dei piccoli produttori, tanto che è anche soprannominato la Rete di Lilliput. Occorre dare spazio alle categorie più piccole di produttori, nel campo delle produzioni commerciali e agricole, ai consumatori, alle scelte dei gruppi e delle associazioni, e sostenere una nuova forma di cooperazione come quella multilaterale o decentrata. Questa consiste nel concordare dei progetti tra associazioni e gruppi sociali dei Paesi avanzati e in via di sviluppo alla pari, per risolvere i problemi di carattere scolastico, sanitario, produttivo ecc. Certamente la nuova globalizzazione sta prendendo piede. Tutto questo potrà sfociare in quella Globalizzazione della solidarietà, la quale ha bisogno però di un contesto giuridico mondiale che per adesso manca.

Tesi di Panikkar – E. Balducci – una svolta nel senso etico.

Su questi aspetti ci vengono in aiuto gli scritti lasciati da due grandi personalità: lo studioso indo/catalano filosofo e teologo Raimon Panikkar e lo scrittore toscano Ernesto Balducci. Panikkar di cultura indiana ed europea contemporaneamente, autore di quaranta libri, afferma che il sistema attuale economico e politico non sopporterebbe una trasformazione spontanea dal suo interno, visto che sussistono troppe forze contrastanti. Dobbiamo trovare altre forme di convivenza e di relazione in forza della stessa esistenza del sistema, perché non tutto di esso deve essere azzerato e considerato negativo. Solo noi possiamo avere dei comportamenti virtuosi e saper fare delle scelte consapevoli, cambiando gli stili di vita, ad esempio nell'uso delle risorse e della salvaguardia dell’ambiente. Ernesto Balducci, aggiunge un’altra cosa, dicendo che l’uomo prodotto della filosofia occidentale si trova al termine di una serie di processi che lo hanno messo in pericolo. A naufragare è proprio il paradigma antropologico – occidentale che ha fatto coincidere l’identità umana con un processo di trasformazione della terra che si traduce in dominio. E quindi, secondo lo scrittore, dobbiamo ritornare alla visione della polis come casa comune, bisogna liberarci da questo delirio di potenza. Le argomentazioni di Balducci possono sembrare filosofico – religiose ma in realtà egli si appella a una ragione laica che è anche il prodotto del paradigma occidentale; quindi una ragione consapevole, aperta al dialogo con la realtà, potrà risolvere anche i problemi concreti, se ci sarà la volontà politica e una base di cittadini critici e consapevoli che sappiano fare scelte politiche elettorali giuste, per lo meno nei Paesi dove vige la libertà di parola e di espressione, arrivando al circolo virtuoso dello sviluppo sostenibile: la salvaguardia dell’ambiente potrà favorire lo sviluppo economico – sociale e questo potrà migliorare la salute degli uomini, garantendo lo sviluppo sostenibile per le generazioni future. 



Cristina Morra


Docente di ruolo di Geografia dal 1977 al 2005 presso Istituti Superiori di Arezzo e provincia.

Abilitata anche in Discipline Turistiche e in Discipline Aziendali.
E' stata membro del gruppo di lavoro ministeriale predisposto dalla Commissione Brocca per la stesura dei nuovi programmi di Geografia per le Superiori,  nel periodo 1988/91.
Ha collaborato con L'IRRSAE  TOSCANA.
Ha realizzato il Progetto didattico Scuola/ Territorio con il suo Istituto Tecnico Commerciale Buonarroti di Arezzo e il Comune di Arezzo.
E' inserita nel ruolo dei FORMATORI DI GEOGRAFIA, dopo il corso nazionale del M.P.I. nel 2001.
E' socio d'onore dell'A.I.I.G.=ASSOCIAZIONE ITALIANA INSEGNANTI DI GEOGRAFIA, per la quale ha diretto per anni la sezione di Arezzo e collaborato nel Consiglio Nazionale Centrale  e nel Consiglio Toscana.
Ha tenuto lezioni didattiche  all'Università di
Firenze per le S.I.S.S.
E' da anni docente della UEL=Università dell'Età Libera di Arezzo.
E' socia della SOCIETÀ GEOGRAFICA ITALIANA di Roma e della SOCIETÀ DI STUDI GEOGRAFICI di Firenze.
Ha collaborato con la Casa Editrice DE AGOSTINI di Milano per l'organizzazione di convegni didattici nazionali geografici.
E' stata autrice della collana di testi scolastici:
L'Uomo organizza il suo ambiente, con la Casa editrice MARKES TRAMONTANA di Milano.
Ha collaborato con Enti, come UCODEP  e RONDINE CITTADELLA DELLA PACE di Arezzo e con MANI TESE di Milano, nonché con Riviste come L'Universo di Firenze.
E' autrice, con l'EDITORE LETIZIA di Arezzo, di testi-saggio:
Globalizzati, ma liberi e sviluppati, 2006, segnalato per la Saggistica al Premio Nazionale Tulliola del 2009
Il Pianeta squilibrato, 2012
L'Agricoltura nel mondo,2014
Con lo stesso editore aretino ha pubblicato anche:
Uno sguardo su Arezzo e il suo centro storico
Emozioni visive dalla Birmania, testo fotografico di viaggio, 2011.

Appunti d'Arte©2011 Barbara Rossi
      

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