martedì 13 agosto 2024

L’invasione del cibo industriale e del cibo spazzatura

 

Articolo della Dottoressa Mira Shiva, coordinatrice del progetto Initiative for Healt & Equity in Society e membro fondatore di Doctors for Food Safety & Biosafety 




 

Il cibo non è soltanto un mezzo per mettere a tacere la fame, è anche qualcosa di importante che dà conforto e gratificazione emotiva, se preparato e servito con amore. Il cibo è necessario per lo sviluppo fisico e mentale dei bambini, ci fornisce il sostentamento di cui abbiamo bisogno e soddisfa le nostre necessità nutrizionali, a patto però che sia bilanciato, sicuro e adatto alle differenti fasi della vita. 

Malnutrizione, sovrappeso e obesità

L’aumento del consumo di cibi ultra-lavorati nei paesi in via di sviluppo ha raggiunto il suo massimo dopo la diffusione, quasi ovunque, delle politiche neoliberiste; ed è stato praticamente imposto, aprendo ogni canale alle importazioni di alimenti industriali attraverso la riduzione dei dazi e favorendo l’ingresso dell’agroindustria nelle catene alimentari. Ciò non ha solo modificato le abitudini di consumo, ma ha anche portato alla perdita sistematica di opzioni alimentari più salubri che prima esistevano.

Per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e per eliminare gli ostacoli che frenano il miglioramento della salute pubblica, occorre non solo conoscere bene i fattori di rischio e i determinanti socio-economici di salute, ma anche saperli gestire ai fini dello scopo.

La lista che segue elenca alcuni dei più importanti determinanti socio-economici:

·     Povertà

·     Accordi

·     Politiche agricole e dei trasporti

·     Attività delle multinazionali

Sono questi che influenzano l’alimentazione e l’apporto di nutrienti e rappresentano i più preoccupanti fattori di rischio. La difficoltà di accesso al cibo, la perdita di nutrienti essenziali e di alimenti sicuri e biodiversi conducono alla fame, alla sottonutrizione e alla malnutrizione. Il cibo prodotto come conseguenza dei determinati di cui sopra porta a eccessi proteici, a un consumo di proteine non di buona qualità e alla perdita di micronutrienti e minerali.

Le diete basate su alimenti industriali ricchi di grassi, acidi grassi trans e zuccheri sono noti fattori di rischio per le malattie non trasmissibili, come: patologie cardiovascolari e diabete di tipo 2, le cui complicazioni possono sfociare in attacchi cardiaci (infarto del miocardio); ictus con la possibile conseguente emiplegia (paralisi di una metà del corpo), perdita del linguaggio, cecità, insufficienza renale e persino la morte.

Il rischio alimentare è un fattore importantissimo per le malattie.

Altri fattori di rischio sono il tabacco, l’eccesso di alcol, la sedentarietà, l’inquinamento atmosferico, che, insieme alla dieta, sono associati a cancro e malattie respiratorie croniche.

Necessità di nuove regole

Le decisioni riguardanti i consumi alimentari vengono spesso prese senza informazioni e consapevolezza adeguate sulle conseguenze in tema di salute, che sono invece gravi e croniche. Un marketing non etico e aggressivo e l’utilizzo di testimonial famosi per i prodotti insalubri influenzano le abitudini alimentari e inducono a dare maggior valore alle gratificazioni immediate, senza pensare alle conseguenze future sulla salute, comprese le malattie non trasmissibili.

Per prevenirle nel maggior numero possibile di persone, occorrono interventi di vasta portata:

·     Ridurre il sale nei cibi

·     Ridurre lo zucchero nei cibi

·     Sostituire i grassi trans con grassi polinsaturi

·     Promuovere la consapevolezza delle conseguenze di una dieta sana e di una dieta, invece, insalubre.

·     Regolare il mercato degli alimenti per l’infanzia

Le linee guida dell’OMS raccomandano che si tragga dai grassi trans al massimo l’1% delle calorie complessive quotidiane, cioè 2-2,5 grammi al giorno, mentre dallo zucchero al massimo il 10%, cioè 30 grammi, più altri 20-25 grammi di zuccheri aggiunti da altre fonti.

Ed è sempre l’OMS che definisce le malattie non trasmissibili come la nuova epidemia globale.

C’è anche la necessità urgente di regolare il contenuto di grassi, sale e zucchero nei bambini in età scolare. Balza agli occhi il grande aumento delle pubblicità di cibi industriali nel mondo e i più piccoli sono particolarmente vulnerabili, poiché non riescono a comprendere appieno le tecniche persuasive occulte delle pubblicità e non possono quindi giudicare in modo critico. L’impatto è esponenziale, come è stato ormai provato da numerosi studi. L’obiettivo, quindi, deve essere quello di regolare l’esposizione alle pubblicità e alle attività promozionali che hanno come bersaglio i bambini, nonché contenerne la potenza. I governi dovrebbero considerare leggi quadro per normare la pubblicità dei cibi insalubri tra i giovani in età scolare prendendo in considerazione quanto si è detto finora e ponendo limiti seri.

·       Una regolazione della pubblicità dei cibi ad alto tenore di grassi, zuccheri e sale,   soprattutto se destinata ai bambini. Si dovrebbero anche includere suddivisioni   per fasce di età.

·   Una limitazione della diffusione e circolazione di tali pubblicità sui media     elettronici e digitali, soprattutto laddove i bambini risultano i maggiori fruitori.

·         Limitazioni nell’utilizzo di testimonial celebri per la pubblicità

·         La regolazione delle attività promozionali espressamente indirizzate ai bambini.

 

Le principali caratteristiche del cibo industriale

·       Squilibrio nei nutrienti e presenza di elevate quantità di ingredienti con effetti dannosi, come grassi, zucchero e sale (cloruro di sodio)

·       Assenza o scarsa presenza di nutrienti salubri, come proteine, vitamine, sostanze fitochimiche, minerali e fibre alimentari

·       Presenza di ingredienti dannosi e additivi chimici, come acidi grassi trans, conservanti (per esempio, il sodio benzoato), esaltatori di sapidità (per esempio, il glutammato monosodico), coloranti artificiali (come il giallo burro e il verde malachite).

In assenza di un sistema che garantisca cure per tutti, si innesca un meccanismo iniquo di spese enormi e indebitamento laddove ci si trova ad affrontare le complicazioni delle malattie e la necessità del ricovero in ospedale. Le persone sono costrette a vendere ciò che hanno per pagarsi le cure, vendono la casa, il bestiame, oppure accendono prestiti da restituire poi con interessi elevati; insomma, un disastro.

La situazione in Italia

Anche l’Italia sta andando verso un aumento della spesa sanitaria privata, che ha raggiunto nel 2017 la cifra di 40 miliardi di euro. Sono sette milioni i cittadini italiani che hanno contratto debiti per pagare cure e servizi sanitari, 2,8 milioni vendono la casa, mentre 44 milioni hanno comunque sostenuto spese di tasca propria per pagare prestazioni sanitarie per intero o con il ticket. L’esborso medio pro capite è pari a 655 euro, ci si attende che arrivi a mille euro nel 2025. I dati provengono dall’ottavo Rapporto Censis-Rbm Assicurazioni Salute.

L’obesità infantile in Europa e in Italia

I dati preliminari della quarta raccolta Cosi (2015- 2017) hanno confermato che l’obesità infantile resta un rilevante problema di salute pubblica nell’area dei paesi europei e mostrano una notevole variabilità da paese a paese e in diversi sottogruppi della popolazione. A distanza di 10 anni dalla prima rilevazione, emerge che la prevalenza di sovrappeso e obesità si è ridotta in Grecia, Italia, Portogallo e Slovenia, tende alla riduzione in Irlanda e Spagna, è stabile in Belgio, Repubblica Ceca e Norvegia, mostra una tendenza all’aumento, talora per sottogruppi della popolazione infantile (per genere) in Lituania, Lettonia e Bulgaria. Per quanto il dato italiano sia migliorato, la prevalenza di sovrappeso e di obesità tra i bambini di 6-9 anni del nostro Paese resta tra le più alte in Europa: il 42% dei maschi è in sovrappeso, di cui 21% obesi; il 38% delle femmine è in sovrappeso, di cui il 14% obese. Tali percentuali si ricavano utilizzando i valori soglia dell’OMS.

L’industria degli integratori

L’industria dei nutraceutici e degli integratori alimentari è molto redditizia. Con un’influenza molto simile a quella dell’industria farmaceutica, anche la nutraceutica sta usando tutte le possibili strategie di marketing e commerciali per influenzare a livello mondiale le scelte politiche, i professionisti e i legislatori. Inoltre, grazie ad allettanti annunci pubblicitari, adescano pazienti in cerca di nuove opzioni terapeutiche. Di conseguenza, negli ultimi vent’anni è aumentato moltissimo il consumo di tali prodotti e anche i medici contribuiscono alla loro diffusione. Dopo aver accuratamente revisionato numerosi studi, le conclusioni della "United States" Preventive Services Task Force (USPSTF) sono state queste: “L’attuale evidenza scientifica è insufficiente per determinare il rapporto danno-beneficio dei prodotti multivitaminici per la prevenzione delle malattie cardiovascolari e del cancro”. La USPSTF sconsiglia gli integratori di betacarotene e vitamina E per la prevenzione di cardiopatie e tumori. Questa task force e la maggior parte delle organizzazioni scientifiche si sono espresse a favore di una dieta bilanciata basata su alimenti naturali, che non può essere sostituita dagli integratori.

Il consumo di farmaci in Italia

Dal rapporto dell’Osservatorio Nazionale sull’impiego dei Medicinali (Osmed) relativo al 2016 (ultimo disponibile al giugno 2018), si evince che la spesa farmaceutica totale ha subito un aumento dell’1,6% (pubblica e privata) pari a 29,4 miliardi di euro, di cui il 77,4% rimborsato dal Servizio sanitario nazionale. L’incremento è stato dovuto principalmente all’utilizzo dei nuovi farmaci contro l’epatite C cronica e dei farmaci oncologici; non si è arrestato l’aumento nel consumo di antibiotici, in crescita anche la compartecipazione dei cittadini alla spesa, pari a circa 1,5 miliardi.

I farmaci antineoplastici e immunomodulatori rappresentano la prima categoria terapeutica a maggior spesa pubblica, pari a quasi 4,5 miliardi (74,1 euro pro capite). Gli antimicrobici per uso sistemico, che comprendono anche i vaccini, si confermano la seconda categoria terapeutica a maggior spesa pubblica, pari a circa 4,4 miliardi di euro (72,5 euro pro capite). In ospedale l’uso di antibiotici non conosce freni e i dati hanno evidenziato un notevole incremento della spesa (+9,5%) associato a un aumento dei consumi (+18,2%).

Importanti incrementi, in termini di spesa, sono stati registrati anche per i vaccini meningococcici (oltre il 100%). I farmaci del sistema cardiovascolare rappresentano la terza categoria terapeutica a maggiore spesa pubblica pari a 3,6 miliardi di euro (59,8 euro pro capite).

L’industria sta cercando di trasformare cibo e alimentazione in un “carrello” di pillole, compresse, sciroppi o capsule.

Ma ci si sta dimenticando che c’è una differenza abissale tra cibo e alimentazione da una parte e farmaci e integratori dall’altra. Oggi è ben noto che molte patologie sono prevenibili e perfino curabili semplicemente attraverso la dieta e le modifiche allo stile di vita. È l’alimentazione la nostra vera medicina.

Dobbiamo riscoprire e valorizzare conoscenze e pratiche tradizionali per riprendere il controllo della nostra salute.

Le false promesse del Golden Rice

L’esperimento più pubblicizzato è quello del Golden Rice, il riso geneticamente modificato sul quale da vent’anni le multinazionali investono per fare in modo che contenga provitamina A, cioè beta-carotene che poi nel nostro corpo viene trasformato in vitamina A; ma, come Navdanya ha dimostrato con le sue ricerche, considerate le quantità e le modalità di assorbimento, il Golden Rice è del 350% meno efficiente di molti altri alimenti naturali e tradizionali nel fornire vitamina A.

Per soddisfare il fabbisogno giornaliero di questa vitamina, è sufficiente mangiare, in alternativa:

·       30 g di foglie di spinaci o amaranto o ravanello

·       60 g di foglie di senape o chenopodio

·       15 g di mostarda di coriandolo

·       25 g di mostarda di menta

·       Una carota

·       Un mango

Questi alimenti tradizionali apportano più nutrienti e a un costo inferiore. Peraltro, spingendo sul Golden Rice si finisce per proporre una dieta a base di riso raffinato che aggrava il problema del diabete. Inoltre, per assorbire le vitamine liposolubili, come la A, c’è bisogno di grassi, quindi di un abbinamento con altri alimenti.

Questa varietà di riso OGM contribuisce ad aggravare l’emergenza ecologica e agricola in atto; richiede maggiore uso di fertilizzanti di sintesi e di acqua e condanna i contadini a sopportare costi esterni più alti, dovuti alla dipendenza dalle sostanze chimiche e al costo dei brevetti sui semi. Il Golden Rice non offre alcun reale beneficio, ma trova la sua ragion d’essere nella strategia delle multinazionali per assumere il controllo di tutte le culture alimentari fondate sul riso. È una sorta di cavallo di troia che traghetta le multinazionali direttamente sulle nostre tavole. Peraltro, alcuni scienziati coinvolti negli studi su questo OGM sono strettamente legati alle multinazionali stesse e presentano quindi un conflitto di interesse. I brevetti correlati al Golden Rice sono oltre 70 e fra i detentori ci sono i più grandi colossi del biotech.

Sono passati più di 20 anni da quando si è cominciato a usare il “miracolo” Golden Rice come scusa per rilasciare brevetti sulla vita, ma così non si fa che creare in laboratorio qualcosa che non ha nulla a che vedere con il cibo vero, l’unico che può nutrirci e mantenerci in salute.

Il paradigma del nutrizionismo

Il paradigma del nutrizionismo si concentra, in modo riduttivo, solo sull’aspetto biochimico degli alimenti. Nutrienti specifici, componenti degli alimenti e bioindicatori (come grassi saturi, kilocalorie, indice glicemico, indice della massa corporea) sono separati dal contesto dell’alimentazione nel suo complesso e dalle dinamiche corporee. Rimossi dai loro ambiti culturali ed ecologici più ampi, sono intesi come verità assoluta che svela i segreti del rapporto fra cibo e salute del corpo. Nel paradigma del nutrizionismo, questo livello di conoscenza biochimica non è considerato informazione complementare, bensì tende a sostituire la comprensione dell’alimento nella sua complessità.

I valori nutrizionali indicati per legge sulle confezioni degli alimenti sono, in un certo senso, prodotto e simbolo del riduzionismo, poiché diviene più importante l’elenco dei componenti dell’alimento che l’alimento stesso.

Avviene anche che singoli nutrienti siano analizzati isolandoli da altri e da determinati cibi; l’alimento quindi si identifica con essi. È una strategia utilizzata soprattutto per i prodotti pubblicizzati come dimagranti o salutistici.

Un altro esempio di fallimento è la banana fortificata con l’ingegneria genetica perché contenga ferro; se anche si arrivasse veramente allo scopo, che le multinazionali perseguono a suon di miliardi, apporterebbe ferro in misura del 7000% inferiore rispetto a varietà di vegetali tradizionali.

La verità è che non abbiamo alcun bisogno di modificare geneticamente le banane per contrastare l’anemia. Se dalla terra potessimo trarre colture ricche e diversificate, non ci sarebbero carenze.

In India, per esempio, le colture spontanee sopravvissute, come amaranto e chenopodio, ricche di ferro, sono aggrediti con veleni e pesticidi perché vengono ritenute infestanti.

Con l’avvento della “monocoltura della mente”, la biodiversità è scomparsa dalle nostre fattorie e dal nostro cibo. La distruzione delle nostre ricche coltivazioni ci ha portato la malnutrizione e oggi il 75% delle donne soffre di anemia.

Perché non andiamo a cercare il ferro nei cibi dove è presente naturalmente? L’amaranto ne contiene 11 mg per 100 g di alimento, il grano saraceno 15,5 mg, il neem 25,3 mg, il miglio perlato 8 mg, la crusca di riso 35 mg, i fiocchi di riso 20 mg, i ceci 9,5 mg, le foglie di cece 23,8 mg, i fagioli dall’occhio 8,6 mg, i fagioli Madras 6,77 mg, le foglie di amaranto fino a 38,5 mg, la farina di cocco 69,4 mg, i chiodi di garofano 11,7 mg, i semi di cumino 11,7 mg, i semi di papavero 15,9 mg, la polpa di tamarindo 17 mg, la curcuma 67,8 mg, l’uvetta 7,7 mg.  

Ecco come l’agricoltura industriale sottrae al cibo i suoi nutrienti 

L’agricoltura industriale, di fatto, sottrae al cibo i suoi nutrienti e lo può rendere addirittura pericoloso. Ecco come ciò avviene.

·       L’agricoltura chimica convenzionale si fonda sulla standardizzazione, sui trasporti su lunga distanza e sulla trasformazione industriale dei raccolti. Invece, il cibo coltivato in modo naturale, tradizionale e biologico si fonda su biodiversità, sicurezza, sapore, qualità e resilienza. I grani selezionati industrialmente sono poco nutrienti e hanno contribuito al dilagare dell’intolleranza al glutine.

·       Sostituendo la biodiversità con le monocolture, si riduce la quantità di nutrimento per acro/ettaro. La presenza di tante varietà vegetali garantisce sufficienti nutrienti per la popolazione.

·   Sostituendo le sofisticate dinamiche ecologiche di rinnovo della fertilità con i fertilizzanti sintetici si distrugge l’integrità del terreno, lo si depriva di sostanze utili, le piante che vi crescono diventano nutrizionalmente vuote. Il British Journal of Nutrition ha pubblicato una metanalisi dalla quale sono emerse differenze rilevanti fra il contenuto nutritivo delle colture (frutti, ortaggi, cereali, legumi) biologiche e quelle convenzionali.

Le prime forniscono cibo contenente concentrazioni molto più alte di antiossidanti (compresi acidi fenolici, flavanoni, stilbeni, flavoni, flavonoli e antocianine) rispetto alle altre. La differenza percentuale si è attestata fra il 18% e il 69%. Anche per alcuni carotenoidi e vitamine sono state rilevate differenze statisticamente significative. Mangiare alimenti biologici permette di assumere il 20%-40% in più (per alcune sostanze anche il 60%) di antiossidanti, senza aumentare le calorie.

·    Gli OGM generano materie prime, non cibo, a tenore nutritivo inferiore. Inoltre, tollerano una quantità elevata di erbicidi, che deprivano suoli e colture (si veda il Roundup) di minerali vitali.

·  Proprio come esiste un’ecologia della biodiversità nei nostri campi, esiste un’ecologia della biodiversità nella nostra alimentazione. I nutrienti sono complementari. I grassi sono necessari per la biodisponibilità della vitamina A e la vitamina C è necessaria per l’assorbimento del ferro. Ecco perché si usano, per esempio, olio di oliva o semi di senape per condire gli ortaggi e ai pasti si mangiano le mostarde. Il riduzionismo meccanicistico in agricoltura e a tavola mette a repentaglio la stessa sostenibilità dell’agricoltura.

Tutto, dunque, porta a concludere che senza biodiversità non c’è sostenibilità, né nutrimento, né vita.

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