Tòpoi, questo il titolo della mostra di Raffaello Lucci allestita dal 11 giugno al 3 luglio presso la sede di “Arezzo Città del Vasari”. La raccolta, che si compone di tredici quadri condotti a tecnica mista e correlati da altrettante incisioni ad acquaforte, è anch’essa legata ad un sottile fil rouge alle precedenti mostre: Walls (2008) e Wandering Walls (2010). Si tratta dunque di un nuovo viaggio interiore dell’artista, condotto questa volta in luoghi, disseminati lungo la fascia medio/estremorientale del continente e che hanno influenzato con le teorie dei grandi fisici di Mileto (Talete, Anassagora, Anassimene) e degli spirituali (Eraclito, Pitagora, Deuteroisaia, Zoroastro, Buddha, Confucio e Lao Tzu) il pensiero dell’intera umanità.
Il percorso inizia idealmente dal promontorio di Capo Sounion situato sulla punta meridionale dell’Attica in Grecia, all’antica Bisanzio l’odierna Istambul in Turchia, per poi dirigersi ad Aleppo in Siria, la terza maggiore città cristiana del mondo arabo con 300.000 Cristiani di dieci confessioni diverse. Si prosegue poi per Byblos dipinta con i colori tenui dei rosa, così viene, immaginata l’antica città fenicia del Libano dove si dice che sia nato l’alfabeto creato dai Fenici. Da Gerico, dove si ipotizza essere la città più antica dopo Damasco, raggiungiamo l’Iraq precisamente Ishtar, nome che da il titolo all’opera, e dove Nabucodonosor II nel 575 a.C. dedicava alla dea babilonese l’ottava porta della città interna di Babilonia. A Pasargadae città dell’antica Persia (Iran) capitale dell’impero achemenide, si erge maestoso un mausoleo ritenuto dalle fonti antiche essere la tomba del re Ciro il Grande (†530 a.C.) risparmiato dalla razzia islamica per mezzo dei suoi custodi che fecero credere agli arabi essere la tomba della madre del re Salomone. Di grigio, blu e amaranto l’artista costruisce l’ipotetica Kabul in Afghanistan, mentre il cuore del Punjab è rappresentato da Lahore in Pakistan simbolo della storia mongola, potente dinastia di cui è stata la sede dal XVI al XVIII secolo. Uno dei quattro più importanti luoghi di pellegrinaggio buddista è l'edificio centrale del complesso sacro di Bodhgayā in India, proprio qui Siddhārtha Gautama verso il 530 a.C. raggiunse l'illuminazione e divenne il Buddha storico. Bodh Gaya divenne luogo di pellegrinaggio subito dopo la morte del Buddha, nel 1158 questa terra fu devastata dagli invasori musulmani e la maggior parte dei monaci fuggì verso nord, in Nepal e in Tibet. E proprio del Tibet e della sua capitale Lhasa (residenza tradizionale del Dalai Lama fino al 1959) i colori della tela si fanno più scuri dalle tonalità violacee a quelle più cupe dei neri, come se quel senso di mistero continuasse ad esistere in una verità soprannaturale. Infine l’Oriente, circoscritto nel regno dello Yen in Cina dove l’artista inserisce nell’acquaforte, in un contesto metaforico, simboli cinesi e parole italiane. L’ultimo dipinto avvolto da bianchi anelli concentrici è Osaka in Giappone luogo che ha visto nascere la scuola di meditazione “Zen” (Buddismo Zen), utilizzata dai samurai per trovare la concentrazione ed il coraggio necessari per poter combattere. Così, una religione da sempre considerata "di pace", divenne uno dei principali strumenti di addestramento dei guerrieri.
Si riassume così la mostra Tòpoi: dal pensiero all’immaginazione al fine ultimo della riflessione che Raffaello Lucci nel più assoluto abbandono proietta istintivamente sulle tavole, un esigenza che si percepisce nell’impasto vibrante dei colori e nelle forme geometriche che si susseguono in un gioco astratto reso ancora più intenso dalla peculiarità del supporto, quel muro sgretolato dal tempo in tante piccole crepe, caratteristica che contraddistingue il suo stile. Il linguaggio della parte istintuale si completa infine nel passaggio con l’acquaforte: una raffinata scomposizione lessicale su base razionale che ci riporta al segno moderno.
Curatrice della mostra
© Barbara Rossi
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