venerdì 22 settembre 2017

Francesco Rustici detto Il Rustichino, caravaggesco gentile e il naturalismo a Siena





Chiuderà a fine mese questa bella iniziativa intitolata: Il Buon Secolo della pittura senese. Dalla Maniera moderna al Lume Caravaggesco. Promossa da vari enti territoriali tra i quali il Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali e l’Università degli Studi di Siena e allestita nelle sedi espositive di Montepulciano, San Quirico d’Orcia e Pienza. In questo articolo mi soffermerò sulla terza sezione, dedicata a: Francesco Rustici detto Il Rustichino, caravaggesco gentile e il naturalismo a Siena, curata da Marco Ciampolini e Roggero Roggeri.
 
Nato a Siena nel 1592 Francesco Rustici eredita dal padre Vincenzo e dallo zio la vena pittorica mettendo a punto la sua arte guidata dai parametri promulgati dal Concilio di Trento (1563) e dalla successiva Controriforma. Quel clima di gioiosa eleganza e di sensuale bellezza, che si era respirato per tutto il periodo rinascimentale, era tramontato, lasciando al suo posto un nuovo clima di rigore morale e di ritorno all'ordine. Come il Rustichino molti altri artisti si adeguarono alle regole, non più immagini che potevano inneggiare alla gioia e alla felicità ma rappresentazioni che suscitavano necessità di pentimento e di sacrificio. Il martirio dei santi divenne uno dei temi più ricorrenti per tutto il Seicento, quasi a testimoniare una nuova visione della religione, basata soprattutto sul dolore e sulla mortificazione. In un certo senso, in questa atmosfera buia, anche i colori si scurirono: furono sempre più gli artisti che, sulla scia di Caravaggio, affondarono le loro composizioni in una cornice di oscurità avvolgente. Antiveduto Gramatica, Orazio Lomi Gentileschi, Rutilio Manetti, Bernardino Mei e Alessandro Casolani furono gli artisti che, con le loro opere in mostra, si aggiornarono in questo senso e a cui si ispirò il Rustici nel periodo del suo apprendistato. Di questo primo periodo si veda la Visitazione (1600 – 1605 ca.). Ma sarà con il viaggio a Roma nel 1615 che l’artista sposterà la sua attenzione nella ricerca stilistica, nel viraggio dei colori e nella comprensione della luce e dei valori tonali. In particolare cercò di rielaborare la lezione lasciata dai fratelli Annibale e Agostino Carracci e del Domenichino, visibile negli affreschi per il palazzo della famiglia Farnese. Mentre sviscerò dal Naturalismo di Michelangelo Merisi detto Caravaggio l’impostazione della luce e del gioco di ombre che imperniò i corpi dei personaggi. Approfondimenti che non omette di leggere anche nelle ricerche dell’olandese Gerard van Honthorst detto Gherardo delle Notti (nel 2015 gli è stata dedicata agli Uffizi un’ampia ed autorevole retrospettiva) e forse conosciuto nel viaggio all’Urbe. Studi che mise poi in pratica nelle commissioni per Maria Maddalena d’Austria, da segnalare l’olio su tela della Maddalena morente (1625) e l’opera con la Conversione della Maddalena custodita nel Principato di Montecarlo.
Chiudono la mostra, presso il Conservatorio San Carlo Borromeo, le due pale d’altare: una con la Madonna col Bambino e i santi Carlo Borromeo, Francesco, Chiara, Caterina da Siena e Giovanni Battista (1622-1623) e l’altra con la Madonna del Rosario con i santi Caterina d’Alessandria, Anna, Antonio Abate, Bernardino e Carlo Borromeo. Quel Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano dal 1560 al 1584, che pubblicò nel 1577 delle precise istruzioni (Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae) destinate agli architetti e ai pittori e scultori di soggetti sacri e che rimasero quale modello di rigore per l’arte del periodo successivo. Ma che già nel 1624 il cardinale Federico Borromeo con il suo «De pictura sacra» mostrò un atteggiamento di maggiore tolleranza. A corredo dell’ultima pala proveniente dalla chiesa di San Michele Arcangelo a Montalcino, la prova su carta redatta a penna, acquerello bruno, biacca su una traccia a matita nera, conservata presso la Biblioteca Comunale di Siena.
Un itinerario, quello del Rustici, che si circostanzia ancora oggi per le opere in loco e meritevoli di un ulteriore lettura: a Montalcino, presso il Museo Civico e Diocesano d’Arte Sacra, di Francesco Rustici: Madonna col Bambino e i Santi Giovannino, Onofrio e Bernardo Tolomei; a Pienza, a Palazzo Borgia nel Museo Diocesano, di Vincenzo Rustici: Sacra Famiglia e i santi Francesco e Caterina; a Castiglione d’Orcia, nella chiesa parrocchiale dei SS. Stefano e Degna, di Francesco e Vincenzo Rustici: Madonna del Rosario con i Santi Simeone e Caterina d’Alessandria; a S. Quirico d’Orcia, nella chiesa dei SS. Quirico e Giulitta, di Rutilio Manetti: la Madonna del Rosario salva una fanciulla annegata, Misteri del Rosario; a Buonconvento, nel Museo d’Arte Sacra della Val d’Arbia, di Rutilio Manetti: Madonna in cielo in una gloria di angeli e i santi Albano martire e Pietro apostolo (si noti la lezione lasciata da Raffaello dell’opera con La Trasfigurazione 1518-1520 ai Musei Vaticani); in ultimo a Sinalunga, presso la Chiesa di S. Martino, di Rutilio Manetti: lo Sposalizio della Vergine.
Il Rustichino morirà nel 1626 all’apice del suo successo e Fabio Chigi (successivamente Papa Alessandro VII) scrivendo da Roma allo zio Agostino ne rammenterà ancora il vuoto lasciato a Siena “dalla perdita del Rustichino”.

Appunti d'Arte©2011 Barbara Rossi 

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