Giorgio Vasari
(Arezzo 1511 - Firenze 1574)
Deposizione dalla Croce 1538
Olio su tavola, cm. 327 x 197
Arezzo, chiesa della Santissima Annunziata
Nel libro delle Ricordanze si legge: "Ricordo come a di 3 di Gennaio 1535 la Compagnia del Corpo di Cristo d'Arezzo et per lei da Antonio di Pietro Sinigardi, priore di detta compagnia, et ser Antonio di Mariotto Gialli et maestro Niccolò di Jacopo Soggi et Dionigi di Fabbiano Sassoli, diputati dal capo della compagnia per allogarmi a dipignere una tavola a olio, drentovi la dipositione della croce del Nostro Signore per prezzo di scudi 130 di grossi 7 soldi 1 per uno scudo. Come per pubblico strumento di mano di Ser Francesco di Messer Bernardino Flori meglio si può vedere quell'atione ci[o]è scudi 130....".
Dal documento in nostro possesso si ricava che la tavola (fig.1) doveva essere posta dalla Compagnia del Corpo di Cristo sull'altare della cappella coincidente con quello principale di San Domenico ad Arezzo; tale Compagnia era solita riunirsi in locali appartenenti al complesso conventuale domenicano, nei pressi del quale, di lì a qualche anno (1541), Vasari comprerà una casa situata nel Borgo San Vito così come quelle contigue del Fondaccio e delle Paniere nel popolo di San Lorentino, edifici che quasi si affacciano sulla piazza antistante la chiesa di S. Domenico.
La decisione di allogare la tavola al giovane pittore fu presa dai confratelli il 7 novembre del 1535. Il 3 gennaio del '36 si definì il contratto e si stabilì il prezzo della tavola in 130 scudi, accettando l'invenzione che Giorgio proponeva in un disegno, poi sottoposto all'esame dei componenti, "Cu-historia e figuris ne de vulgariter".
Allo scadere dei due anni concessi per l'esecuzione dell'opera, il 3 gennaio del 1538 i confratelli si riunirono e decisero di dare a Vasari una dilazione a patto che egli a sue spese fornisse anche la cornice, di cui si era rifiutato di farsi carico nell'iniziale clausola di contratto.
Il rallentamento del lavoro e la successiva proroga del contratto si collega al periodo in cui l'artista ventiquattrenne lavorava al servizio del duca Alessandro e impegnato contestualmente nella realizzazione di parte degli apparati per il solenne ingresso in Firenze dell'imperatore Carlo V d'Asburgo.
Pressato dall'entità del lavoro, dalla ristrettezza dei tempi e dal boicottaggio degli artefici fiorentini, invidiosi della stretta relazione che aveva con il Duca, Vasari si risolse di chiedere aiuto ad alcuni artisti aretini quali: Raffaellino del Colle, Cristofano Gherardi detto il Doceno e Stefano Veltroni del Monte San Savino suo cugino.
Dalla stipula inoltre si evince che Vasari non era ancora famoso tanto che viene indicato nel testo solo con il patronimico e la cittadinanza.
Il dipinto è inoltre citato da Vasari anche in una famosa lettera diretta allo zio Antonio, scritta il 9 o il 10 gennaio 1537, subito dopo l'assassinio del duca Alessandro e lo descrive lungamente in un'altra nel febbraio dello stesso anno indirizzata al medico aretino e amico Baccio Rontini.
La lettera oltre a porre l'accento sullo spirito malinconico e inquieto per l'accaduto al giovane Vasari:
"Mi sono serrato in una stanza per abbozzare una tavola, che và qui in Arezzo nella chiesa de frati predicatori, che la fanno fare gl'huomini della compagnia del Corpus Domini per metterla sul'altare maggiore. Io da che mi partij da voi, sono per la morte del mio duca in tanta malinconia, che sono stato et sono per girare col cervello; et lo dimostrerrà quest'opera (...)
"Mi sono serrato in una stanza per abbozzare una tavola, che và qui in Arezzo nella chiesa de frati predicatori, che la fanno fare gl'huomini della compagnia del Corpus Domini per metterla sul'altare maggiore. Io da che mi partij da voi, sono per la morte del mio duca in tanta malinconia, che sono stato et sono per girare col cervello; et lo dimostrerrà quest'opera (...)
E' interessante perchè fa luce sulla fitta corrispondenza che entrambi intrattenevano, soprattutto sugli studi di anatomia che il giovane Vasari conduceva all'epoca, proprio in una lettera si viene a conoscenza che il biografo dichiarava di avere disegnato a Baccio alcune tavole anatomiche oggi perdute.
L'opera, è firmata "Georg...Vasarius Areti...Faciebat" sulla fascia che attraversa la schiena della pia donna in basso a destra, e fu trasferita presso la Santissima Annunziata a seguito delle soppressioni, leopoldine tra il 1796 e il 1797. Comunque non oltre il 1838 data in cui è citata all'interno della guida aretina di Oreste Brizzi.